L'assenza dell'Onu nella tragedia libica | Arturo Diaconale

2 Luglio 2019
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La notizia della morte di almeno venti migranti nei campi di raccolta libici sembra fatta apposta per dimostrare come i porti della Libia non possano essere considerati “sicuri” e come la rotta verso l’Italia delle navi Ong e dei barconi di disperati sia priva di qualsiasi alternativa. Hanno dunque ragione quanti sostengono che sulla base di queste considerazioni e delle leggi internazionali e delle norme della nostra Costituzione sia totalmente sbagliata ed illegale la politica dei “porti chiusi” e delle restrizioni nei confronti delle operazioni umanitarie portata avanti dal governo giallo-verde e diventata l’elemento caratterizzante della strategia della Lega di Matteo Salvini?

Il Presidente della Camera Roberto Fico, in perfetta condivisione della linea tenuta dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dei continui ed insistenti richiami in favore dell’accoglienza senza limiti lanciati da Papa Francesco, non hanno dubbi in proposito. Neppure l’inerzia dell’Unione Europea rispetto al problema delle grandi migrazioni, ha sostenuto Fico, può diventare un alibi per giustificare la politica delle frontiere sigillate.

Ma in base a quale valutazione ispirata ad un minimo di realismo può essere accettabile una posizione del genere che di fatto condanna l’Italia ad essere sempre e comunque il libero punto di approdo delle centinaia di migliaia di disperati decisi a sfuggire alle guerre ed alle persecuzioni ma anche a perseguire una migliore condizione economica?

Il realismo impone di dare una risposta non ideologica. Né buonista, né cattivista. Ma solo condizionata dai fatti concreti. Prima fra tutte quella secondo cui le leggi internazionali e la Carta Costituzionale vanno necessariamente rapportate alle mutate condizioni storiche. Leggi e Costituzione non potevano prevedere le vicende in corso. Se in Libia si preparano a partire per l’Italia i presunti ottocentomila migranti, come ci si deve comportare? All’insegna del “fiat lex e pereat mundus”? Oppure difendendo le frontiere rispetto ad una minaccia d’invasione che potrebbe essere interpretata anche come un atto di guerra? Il realismo esclude dubbi in proposito. Ma impone anche di sollevare l’interrogativo che proprio la notizia dei morti per fame e sevizie nei centri di detenzione libici ha sollevato in questi ultimi giorni. Perché l’Onu e le sue organizzazioni umanitarie non intervengono nell’ex colonia per garantire il rispetto dei diritti umani nei campi di concentramento per migranti e per rendere sicuri quei porti che la guerra civile rende inaccessibili? In Africa, in Asia, in Medio Oriente ed in gran parte delle aree mondiali colpite da tragedie come quella libica, non si contano le missioni umanitarie (condotte anche con mezzi militari) delle Nazioni Unite. Perché in Libia no?