Non sarà l’appello di Giorgio Napolitano a distogliere l’intenzione della minoranza antirenziana del Partito democratico di trasformare il passaggio a Palazzo Madama della riforma del Senato in un Vietnam per il Premier. E non sarà neppure l’annuncio preoccupato di Anna Finocchiaro di vedere arenata la riforma istituzionale a scoraggiare la volontà dei nemici di mettere trappole antiuomo sul percorso del Presidente del Consiglio.
Da quando è uscito dal Quirinale, l’ex capo dello Stato ha perso quella sorta di sacralità che rendeva praticamente inappellabili le sue esternazioni. E, da quando la Finocchiaro non è riuscita a salire al Quirinale, ha perso qualsiasi peso politico nei confronti delle diverse componenti del suo partito e ha incominciato ad essere considerata dai suoi compagni come una vecchia gloria incamminata sul viale del tramonto. Ma non è il progressivo ingresso nel cono d’ombra del primo e della seconda ad incidere in maniera determinante sul comportamento della minoranza Pd. Sono le condizioni politiche particolarmente favorevoli alla guerriglia antirenziana a rendere inevitabile il prossimo Vietnam tra gli scranni del Senato.
Queste condizioni sono essenzialmente due. La prima è la verifica che l’operazione dei responsabili lanciata da Matteo Renzi per bilanciare le defezioni dei suoi nemici interni a Palazzo Madama non è riuscita. Il Premier contava sulla defezione di Denis Verdini per drenare da Forza Italia i voti necessari per blindare il Governo. Ma il disegno è fallito. Verdini ha formato un gruppo autonomo composto da appena dieci senatori raccolti in gran parte nel gruppo misto, cioè tra quelli che già da tempo votavano in favore del Governo. Non ha smantellato il suo partito d’origine, non ha bilanciato le defezioni della componente antirenziana e, soprattutto, ha offerto alla sinistra del Pd un argomento polemico nei confronti del Premier, che raccoglie ampi consensi tra un elettorato educato per decenni al dogma della questione morale.
Ma la condizione più favorevole al Vietnam è che il risultato ottenuto da Renzi alle ultime Amministrative ha svuotato di ogni significato quella minaccia di ricorso alle elezioni anticipate con cui il Premier ha tenuto a bada i suoi avversari dopo la conquista del quaranta per cento alle elezioni europee. Gli aspiranti vietcong si sono convinti che l’ipotesi del voto prima del tempo sia diventata per Renzi una pistola completamente scarica. E, forti di questa certezza, sono ora pronti alla guerriglia nella giungla del Senato.
Non per tornare, come dicono ufficialmente, alla modifica della riforma renziana ed al ritorno all’elezione diretta dei senatori. La questione è solo un pretesto. Ma per logorare sempre di più il leader del proprio partito per costringerlo a lasciare la segreteria ed a rinserrarsi a Palazzo Chigi, dove consumare tristemente la parte restante della sua carriera politica. È difficile dire se il logoramento sarà effettivo. È molto più facile prevedere che comunque verrà tentato!