Scrivere un libro è sempre un atto di presunzione e di narcisismo. E chi lo compie dovrebbe esserne sempre consapevole. Ma una dose misurata di presunzione ed un pizzico di narcisismo sono componenti indispensabili della professione di giornalista. Ed il libro che ho pubblicato per l’editore Rubbettino, “Santità, ma possiamo continuare a dirci cristiani?”, costituisce, come tutti gli altri scritti nel passato, una sorta di seguito e completamento della mia attività di giornalista specializzato in analisi politica.
Nel 1995, al termine del cosiddetto “biennio rivoluzionario” di Mani Pulite, scrissi “Tecnica post-moderna del colpo di Stato, magistrati e giornalisti“, in cui sostenni per primo la tesi secondo cui il circo mediatico-giudiziario formato da alcune Procure e dalla grande stampa aveva realizzato in maniera del tutto inconsapevole un golpe formalmente legale. Era il risultato ultimo delle mie analisi quotidiane scritte per “L’Opinione”.
Negli anni successivi scrissi il pamphet “Attacco alla libertà“ in cui denunciai i rischi per la democrazia provocati dalla egemonia culturale di un pensiero comune imposto dai media di proprietà dei grandi centri di potere economico e finanziario. Ed anche questo libro rappresentava la continuazione della mia attività quotidiana. Nel 2005, poi, scrissi “Iran, Israele e l’olocausto nucleare“, che metteva in evidenza come la dissennata politica dei democratici americani nel Medio Oriente rischiava di condannare Israele alla distruzione nucleare per mano di un Iran in possesso dell’arma atomica. Successivamente, scrissi sempre per Rubbettino “Per l’Italia, una idea liberale, una idea nazionale“, in cui tentai di dare una lettura anticonformista dei momenti determinanti dello Stato unitario per dimostrare la necessità di un nuovo Risorgimento fondato sui valori della libertà e sugli interessi nazionali.
Oggi, infine, pubblico un libro in cui cerco di esprimere il punto di vista di un giornalista ed analista politico laico e liberale nei confronti non dell’apostolato religioso di Papa Francesco ma della Chiesa di Bergoglio intesa come soggetto politico e culturale. Un giornalista laico e liberale che sulla scia di Benedetto Croce non può non dirsi cristiano nella consapevolezza di essere il frutto di duemila anni di cultura occidentale. Ma che non può non dirsi perplesso e preoccupato se a mettere in discussione questa identità è un capo della Cristianità deciso a rinunciare alla identità occidentale in nome di una forma di misericordia globalizzata che rischia di trasformare la Chiesa in una Ong senza navi. Di qui l’interrogativo, provocatorio quanto si vuole ma niente affatto irriverente (ed anzi angoscioso) del “Santità, ma possiamo continuare a dirci cristiani?”.
Nell’elencare i miei libri mi sono reso conto di essere andato sempre e comunque controcorrente. Non è stato affatto conveniente. Ma per un professionista che ha lavorato con Indro Montanelli di certo qualificante!