L'Opinione delle Libertà | Arturo Diaconale - Part 3


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Redazione7 Febbraio 2020

La posta in palio della partita che si gioca all’interno della coalizione  di governo non è la tenuta dell’esecutivo con conseguente rischio di crisi e di elezioni anticipate ma la sorte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Nessuno immagina che lo scontro sulla prescrizione possa sfociare nell’interruzione anticipata della legislatura. L’idea di dover rinunciare ad altri tre anni di sinecura parlamentare fa venire i brividi a gran parte della maggioranza ed a buona parte dell’opposizione. In più è nota la contrarietà del Presidente della Repubblica allo scioglimento delle Camere. Per cui, sempre che nel frattempo a puntare sulla rottura per interrompere il proprio declino non sia il partito di maggioranza relativa, cioè il M5S, l’ipotesi di una crisi con botto finale rappresentato da elezioni appare del tutto improbabile.

Molto più realistico, invece, è che la vicenda della prescrizione sia il paravento dietro cui si svolge un braccio di ferro tra Italia Viva e Partito Democratico sul futuro dell’attuale Presidente del Consiglio. Di fronte alla possibilità che Matteo Renzi possa essere tentato di passare dalla presenza in maggioranza all’appoggio esterno chiedendo un governo non più guidato da Conte, Nicola Zingaretti ha subito preso le difese del Capo del Governo definendolo una risorsa del fronte progressista da sostenere e da preservare fino alla scadenza naturale della legislatura. Ma può bastare la trincea difensiva scavata attorno a Conte dal segretario del Pd a fermare il possibile tentativo di Renzi di dare il benservito a “Giuseppi” per dare slancio ad Italia Viva e collocarla in una posizione esterna alla alleanza Pd-M5S capace di essere attrattiva nei confronti dell’elettorato moderato?

L’interrogativo è aperto. Ma è proprio questa circostanza, cioè il dubbio che allo scontro sulla prescrizione si aggiunga quello sulla sorte di Conte, che pone un secondo ma più grave dilemma. Come può un governo roso da tante divergenze e contraddizioni essere in grado di fronteggiare le incredibili emergenze in atto? Forse è il caso che, oltre a preoccuparsi dei rapporti con la Cina, il Presidente della Repubblica prenda in considerazione anche un tema del genere. L’inadeguatezza totale del governo non è solo un problema del Parlamento ma anche del Capo dello Stato!

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Redazione6 Febbraio 2020

Luigi Di Maio ha chiamato alla mobilitazione di piazza i militanti grillini per protestare contro chi punta alla restaurazione abolendo i provvedimenti più significativi realizzati dal Movimento Cinque Stelle durante la sua presenza al governo del paese. Il 15 febbraio, quindi, il popolo grillino manifesterà la propria opposizione al disegno in atto ribadendo che difenderà ad ogni costo l’abolizione dei vitalizi, il taglio dei parlamentari, il reddito di cittadinanza e, naturalmente, il blocco della prescrizione.

L’appello alla mobilitazione di Di Maio si presta a diverse letture. C’è quella che lo considera come una mossa dell’ex capo politico per riprendere il bastone del comando del movimento prima degli stati generali. C’è quella che lo interpreta come una sollecitazione rivolta alla base a superare le divisioni e le difficoltà del momento ricompattandosi attorno ai temi identitari più profondi del partito. E c’è quella, infine, che lo vede come un invito a Giuseppe Conte a non dimenticare mai di dipendere dal Movimento Cinque Stelle, forza maggioritaria della coalizione di governo, se non vuole ritrovarsi di colpo fuori da Palazzo Chigi.

Probabilmente ogni lettura contiene una parte di verità. Con la sua iniziativa Di Maio rilancia la propria leadership puntando sul richiamo alla identità del movimento e lasciando intendere che per salvare questa identità non avrebbe alcuna difficoltà a mandare a casa Giuseppe Conte.

Tutto giusto e tutto chiaro, allora. Tranne un aspetto che manca a queste letture e che riguarda l’anomalia della vicenda. Nella storia i restauratori fanno sempre parte degli oppositori dei governi che hanno realizzato i provvedimenti più qualificanti delle rivoluzioni. Nel nostro caso, invece, il partito di maggioranza relativa della attuale coalizione governativa scende in piazza per manifestare contro dei restauratori che risultano essere non solo quelli dell’opposizione ma anche quelli della stessa maggioranza di cui il Movimento Cinque Stelle fa parte.

Di fatto, quindi, a parte la bizzarria di vedere definiti restauratori quei leghisti con cui i grillini hanno varato alcuni dei loro provvedimenti più identitari, l’M5S scende in piazza contro il governo. A testimonianza che il partito di maggioranza relativa non è in grado di esercitare il suo ruolo di preminenza nella coalizione governativa ed esprime questa difficoltà e questo disagio mobilitando la propria base contro la propria presenza al governo.

C’è ancora qualcuno convinto che Conte possa arrivare a fine legislatura?

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Redazione5 Febbraio 2020

I grandi media politicamente corretti hanno bellamente ignorato la notizia che la sassaiola effettuata a Frosinone da un gruppo di ragazzi italiani contro alcuni studenti cinesi era una bufala inventata da un professore. La spiegazione di questa voluta omissione non è l’imbarazzo per dover riconoscere che l’enfasi da loro precedentemente data alla sassaiola, presentata come una dimostrazione lampante del razzismo dilagante in Italia, era stata troppo frettolosa e del tutto ingiustificata. L’omissione non è dipesa dal fastidio di dover riconoscere l’errore commesso ma da un fenomeno frutto della vulgata politicamente corretta che dilaga nel nostro paese e che porta chi ne è affetto a comportamenti segnati dal una forma rovesciata di discriminazione etnica e razziale.

Il professore di Frosinone che ha inventato la balla della sassaiola è un esempio concreto di questo razzismo alla rovescia. Nella sua testa gli italiani non possono non essere razzisti a causa delle predicazioni d’odio effettuate dalla destra cattivista. Per cui il fine nobile di denunciare la deriva di chi predica “prima gli italiani” giustifica l’invenzione di una bufala immediatamente trasformata dai media che praticano il razzismo alla rovescia in una dimostrazione inconfutabile del razzismo italico.

Ma il professore che applica la discriminazione ideologica all’incontrario non è un caso isolato. Insieme a lui ci sono anche e soprattutto le massime autorità del governo. Che nella vicenda del coronavirus si stanno comportando seguendo l’esempio truffaldino del professore ed usando a fini esclusivamente politici le misure imposte dall’esperienza e dal buon senso per contenere l’epidemia.

Il fine politico è risultato fin troppo evidente nella decisione di recuperare gli italiani presenti nella provincia cinese dove il virus provoca i maggiori danni e chiuderli in quarantena a Roma per salvaguardare la loro salute ed evitare l’eventuale diffusione del contagio. Il governo voleva e doveva dare una dimostrazione di capacità ed efficienza. Ed anche se l’aver lasciato a terra un ragazzo di 17 anni per sospetta polmonite virale ha gettato uno schizzo di fango su questa prova, le pubbliche autorità hanno insistito nello sbandierare ai quattro venti la loro volontà di applicare il “prima gli italiani” nella versione buonista.

Il fine politico del governo razzista alla rovescia è poi diventato lampante nella scelta dei Ministri della Salute e dell’Istruzione di condannare la richiesta dei Governatori del Nord di applicare una quarantena di 14 giorni agli studenti cinesi rientrati dalle vacanze in Cina sostenendo che la quarantena nordista era il frutto di discriminazione etnica e razziale mentre quella romana era giusta e sacrosanta per ragioni sanitarie.

Anche per il governo, come per il professore ballista, quindi, il fine giustifica i mezzi. Ma anche il razzismo alla rovescia è razzismo. Anche se è più ipocrita dell’altro!

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Redazione4 Febbraio 2020

Il coronavirus non ha prodotto solo una epidemia di polmonite ma anche una ondata di imbecillità. La prima può essere contenuta con appropriate misure concrete ma per frenare la seconda ci vorrebbero dosi massicce di buon senso che invece risulta essere l’elemento più raro e prezioso nella attuale fase storica.

A Frosinone l’ondata di imbecillità ha prodotto la sassaiola contro un gruppo di studenti cinesi. E la stessa ondata di imbecillità spinge tanti italiani (giusto per rimanere in casa nostra ma gli esempi di questa malattia fatale abbondano in tutto il pianeta) a guardare con sospetto e preoccupazione ogni cinese incontrato sulla via. Non importa se il cinese in questione sia un turista proveniente dal territorio da cui è partito il coronavirus o un componente di una delle comunità cinesi esistenti nel nostro paese che non torna nel paese d’origine da tempo immemorabile. Come i tori quando vedono rosso, gli imbecilli si mettono in posizione di attacco quando vedono giallo (e spesso confondono cinesi con giapponesi, coreani ed asiatici in genere) e si comportano nelle maniere più assurde ed offensive in  nome di un pericolo che invece è inesistente.

L’imbecillità, però, non è a senso unico. Cioè non è una prerogativa esclusiva di chi non usa il buon senso e reagisce alla paura del contagio bollando ogni asiatico in circolazione con il marchio dell’untore. Questa epidemia non da virus ma da pregiudizio inestirpabile colpisce e domina incontrastata anche in quel mondo di intellettuali, politici ed ecclesiastici politicamente corretti che non sanno e vogliono distinguere tra timore popolare e razzismo e cavalcano questa loro ignoranza usandola come strumento di aggressione nei confronti dei propri avversari in vista delle prossime elezioni amministrative di fine primavera.

È difficile stabilire se il massimo livello di imbecillità venga raggiunto da chi viene accusato di razzismo sanitario o da chi muove questa accusa verso coloro i quali non condividono le idee ed i principi del globalismo multietnico e multiculturale e chiedono misure efficaci per contenere l’epidemia di coronavirus.

Non c’è buon senso, ad esempio, nel considerare necessario ed indispensabile mettere in quarantena alla Cecchignola gli italiani fatti rientrare da Wuhan e contestare a colpi di accuse di razzismo e sovranismo quei governatori delle regioni settentrionali che propongono di mettere in quarantena gli studenti cinesi che rientrano in questo periodo dalle vacanze passate nel paese d’origine. Secondo costoro la quarantena per gli italiani è legittima e non ha alcun tratto di odiosa discriminazione. Al contrario la quarantena per i ragazzi cinesi rientranti dalla Cina non solo è allarmistica ma anche discriminatoria e razzista.

Le due diverse quarantene dimostrano che l’imbecillità è un virus incontenibile. Colpisce sia i razzisti che gli antirazzisti, i sovranisti e gli antisovranisti. E produce odio indiscriminato che mina alle radici la società nazionale!

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Redazione3 Febbraio 2020

Come ha dimostrato l’assemblea dei militanti del Movimento Cinque Stelle di Napoli e della Campania, la base grillina non ha alcuna intenzione di diventare una costola minoritaria e subalterna del Partito Democratico. A pensarla in maniera opposta sono molti dei parlamentari nazionali e regionali preoccupati di conservare le proprie poltrone e convinti che solo  l’alleanza con la sinistra potrebbe consentire loro di evitare il ritorno alla vita civile. Ma quelli che non stanno nelle istituzioni e non hanno posti da conservare reagiscono a questa difesa degli interessi personali con la difesa della propria identità politica. E di questa spinta proveniente dalla base che si deve tenere conto nel valutare l’intransigenza del ministro della Giustizia Bonafede sulla prescrizione e nell’avanzare previsioni su quale potrà essere l’esito degli stati generali in cui il Movimento Cinque Stelle sceglierà il suo nuovo vertice e fisserà la linea da tenere nelle amministrative di fine primavera e nel corso dell’attuale legislatura.

Dall’assemblea grillina napoletana, dunque, è partito un segnale destinato ad incidere pesantemente nel dibattito interno del Movimento ed a condizionare in maniera direttamente proporzionale la vita del governo di Giuseppe Conte. Questo segnale indica che la base non intende accettare compromessi di sorta su una questione identitaria come quella del blocco della prescrizione. E, soprattutto, lascia intendere che nella discussione interna la voce della base, che si batte per la difesa della identità antisistema del movimento, non potrà essere cancellata da quella di chi calcola che la propria sopravvivenza politica personale dipende dall’alleanza subalterna al Partito Democratico.

Il silenzio di Luigi Di Maio, l’annuncio di un prossimo ritorno di Alessandro Di Battista, le ferme prese di posizione del reggente Vito Crimi e la difesa ad oltranza della propria riforma da parte di Bonafede, si muovono tutte nella stessa direzione. Quella di un Movimento Cinque Stelle deciso a salvare la propria identità anche a costo di perdere una buona parte di poltrone. Il ché non è un bel segnale per Giuseppe Conte. Che ora deve sbrogliare il vero nodo emerso dal voto delle regionali in Emilia-Romagna e della Calabria. Non la tenuta del Pd ma la frantumazione del M5S, partito cardine della maggioranza governativa!

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Redazione31 Gennaio 2020

Portati dalla nave Ong Viking si apprestano a sbarcare a Taranto circa quattrocento persone provenienti dalla Libia. Contemporaneamente giungono, sempre dalla Libia, notizie secondo cui navi turche avrebbero portato a Tripoli armi e munizioni inviate da Ankara in aiuto del governo Serraj ed in aperta rottura con la tregua stabilita nella conferenza di Berlino. A rendere ancora più inquietante e drammatico il quadro della situazione libica si aggiungono, infine, le informazioni secondo cui dalla Siria sarebbero arrivati, sempre attraverso il canale marittimo attivato dalle autorità turche, più di tremila miliziani ex Isis a sostegno del governo tripolino che oltre ad opporsi alle truppe del generale Haftar potrebbero infiltrarsi tra profughi decisi ad entrare nel nostro paese.

Di fronte a questa grave evoluzione della guerra in atto in Libia, il governo italiano appare pericolosamente indeciso su tutto. Apre i porti per non subire l’accusa di scarso umanitarismo senza mettere neppure in minimo conto il rischio che terroristi addestrati alla guerriglia possano mettere piede in Italia. Rimane formalmente al fianco del governo Serraj in nome di una adesione di principio alle decisioni compiute a suo tempo dalle Nazioni Unite ma evita accuratamente di trasformare in aiuto concreto questo sostegno suscitando le rampogne e le minacce del governo tripolino. E, grazie a questa posizione formale ma senza conseguenze pratiche, continua a guadagnarsi l’ostilità dichiarata del Generale Haftar e dei paesi che lo sostengono a cominciare dall’Egitto ed a finire con l’Arabia Saudita e gli Emirati.

Il governo italiano, in sostanza, non solo non esercita alcun ruolo in un conflitto che si svolge in una area di interesse vitale per il nostro paese ma, con la sua assurda passività, riesce perfettamente a rendersi inviso a tutte le parti che si contendono direttamente ed indirettamente il controllo della Libia.

Stabilire che la colpa di una totale assenza di ruolo nelle scenario libico dipenda esclusivamente dalla inadeguatezza di Luigi Di Maio nei panni di Ministro degli Esteri sarebbe non solo ingiusto ma anche profondamente sbagliato. Responsabile dell’indecisione a tutto non è solo l’omino della Farnesina ma anche il titolare di Palazzo Chigi che si preoccupa esclusivamente di apparire sui media e, soprattutto, il Partito Democratico incapace di elaborare una linea di politica estera diversa da quella fissata quando le condizioni libiche ed internazionali erano totalmente diverse.

I pericoli che gravano sull’Italia hanno padri diversi. Ma è bene denunciarli fin da ora!

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Redazione30 Gennaio 2020

Ma se mai il centro destra riuscisse a vincere nelle future elezioni politiche il suo leader, al momento Matteo Salvini in quanto capo rappresentante del maggior partito dello schieramento moderato, riuscirebbe mai a diventare Premier ed a resistere come Capo del Governo a Palazzo Chigi? A questo interrogativo posto provocatoriamente da Giancarlo Giorgetti ha risposto indirettamente Ernesto Galli della Loggia con un fondo sul Corriere della Sera in cui ha rilevato che per assumere la guida del paese la destra dovrebbe preventivamente superare tre pregiudizi esistenti nei suoi confronti. Il primo è quello stabilito dalla sinistra secondo cui ogni suo oppositore è automaticamente un fascista e quindi non è legittimato a governare la Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Il secondo è quello di un establishment formato solo ed esclusivamente da gente di sinistra decisa a difendere i propri privilegi usando il pregiudizio antifascista che nega ogni forma di legittimazione ad una classe dirigente diversa da se stessa. Il terzo è quello di una gerarchia ecclesiastica che si affianca e spesso precede Papa Bergoglio e che al pregiudizio antifascista tipico della sinistra aggiunge il pregiudizio antiliberale ed antioccidentale del catto-progressismo terzomondista.

Che succederebbe, dunque, se mai il popolo italiano votasse a maggioranza il centro destra e portasse Salvini a Palazzo Chigi? Galli della Loggia ha suggerito che l’unico modo per la destra di governare il paese sarebbe non di camuffarsi ma di convertirsi ai pregiudizi della sinistra. Il ché, francamente, sembra  bizzarro ed anche inutile. Se per governare la destra deve diventare sinistra, tanto vale che al governo rimanga la sinistra fino a quando gli italiani non si renderanno definitivamente conto che i loro pregiudizi li stanno portando alla rovina.

Giorgetti, invece, ha evitato di rispondere direttamente al quesito ma il fatto stesso di averlo posto dimostra come sia perfettamente consapevole di quanto grave sia la malattia di una democrazia in cui il consenso elettorale non può in alcun caso prevalere sui pregiudizi della sinistra incistata al potere.

Ma il silenzio dell’esponente leghista è facilmente colmabile. Nel caso il centro destra vincesse le elezioni, scatterebbe un film già abbondantemente visto. I protettori europei della sinistra nostrana provocherebbe l’aumento vertiginoso dello spread e le piazze italiane si riempirebbero di folle traboccanti di invasati pronti anche a prendere le armi per fermare l’avvento di un fascismo inesistente.

Allora non c’è altro da fare che arrendersi ai pregiudizi usati come arma di difesa dei privilegi? Niente affatto. La stragrande maggioranza del paese non è più disposta a subire le conseguenze negative dei pregiudizi ed è pronta a resistere a sinistra, establishment ed alla Chiesa bergogliana.

Nessun camuffamento o conversione fasulla, allora, ma la consapevolezza che i pregiudizi possono essere battuti. Come hanno dimostrato Trump negli Stati Uniti, Johnson in Gran Bretagna e tutti i paesi dell’Est europeo!

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Redazione29 Gennaio 2020

Se il centro destra avesse conquistato l’Emilia-Romagna avrebbe denunciato la distanza sempre più grande esistente tra il paese formale, rappresentato dall’attuale Parlamento, e quello reale, indicato dai risultati elettorali, ed avrebbe chiesto a gran voce le elezioni anticipate.

Nessuno si sarebbe stupito di un comportamento del genere. Perché fa parte della fisiologia del gioco democratico che chi è all’opposizione si appelli al paese reale per chiede che quello formale si arrenda alle mutate condizioni politiche indicate dai risultati di voti amministrativi verificatisi nel corso della legislatura ed invochi il ritorno immediato alle urne.

La mancata conquista della regione rossa da parte del centro destra impedisce alla coalizione di Salvini, Meloni e Berlusconi di appellarsi al paese reale per chiedere a quello formale di togliersi di mezzo?

La risposta è negativa. Perché è vero che la vittoria di Bonaccini ha consentito a Giuseppe Conte ed a Nicola Zingaretti di sostenere che il governo nazionale è uscito rafforzato dalla consultazione amministrativa. Ma è addirittura più vero che un colpo pesantissimo al paese formale è venuto dalla sostanziale scomparsa dalla scena politica del partito che alle ultime elezioni nazionali ha conquistato il trentadue per cento dei consensi ed è diventato il partito di maggioranza relativa del paese.

Il crollo verticale del Movimento Cinque Stelle costituisce per il paese formale un colpo decisamente più forte e sconvolgente di quello che si sarebbe determinato se la regione rossa fosse stata conquistata dal centro destra. Non a caso il Pd, che alle ultime elezioni aveva ottenuto la metà dei consensi del M5S, ora incomincia a considerarsi la forza portante e fondamentale del governo e chiede che Conte avvii una seconda fase dell’azione dell’esecutivo non più segnata, come la prima, dalle posizioni identitarie dei grillini.

Vito Crimi, cioè il “gerarca minore” che ha sostituito pro-tempore il Capo Politico dimissionario Luigi Di Maio, ha subito replicato al Pd rilevando che i rapporti di forza esistenti in Parlamento sono quelli usciti dalle ultime politiche e rimangono immutati fino alla fine della legislatura.

Crimi, ovviamente, non poteva dire altrimenti. Ma l’aspetto più singolare della vicenda è che non è il solo a pensarla in questo modo. Anche Sergio Mattarella sarebbe dell’avviso che il paese formale ha sempre e comunque la prevalenza su quello reale e che tutto deve rimanere come se nulla fosse avvenuto, compresa la scomparsa del partito di maggioranza relativa.

Posizione legittima. Anche se scoprire che Mattarella la pensa come Crimi suscita un po’ di angoscia!

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Redazione28 Gennaio 2020

Una analisi sommaria dei risultati elettorali delle regionali in Emilia-Romagna ed in Calabria stabilisce che nei sistemi a tendenza bipolare per vincere è necessario avere un candidato capace di raccogliere il consenso di quell’area moderata che viene definita genericamente di centro.

Insomma, senza conquistare il centro i poli di destra e di sinistra non riescono a vincere. Sulla base di questa considerazione Bonaccini avrebbe vinto nella sua regione per aver saputo riportare al voto i moderati di centro sinistra che si erano allontanati dal Partito Democratico delusi per la fine della sua capacità propulsiva. E la Santelli avrebbe trionfato in Calabria in quanto esponente di un partito come Forza Italia diverso dalle forze populiste e sovraniste e profondamente radicato nell’area centrale del fronte moderato.

Simili argomentazioni sono sicuramente suggestive e contengono altrettanto sicuramente una parte di verità. Nei sistemi bipolari, sia quelli di diritto che quelli di fatto, le forze più estreme possono vincere solo se hanno la possibilità di conquistare il centro.

Ma che succede se il centro non esiste più come rappresentanza politica? Se si cala l’interrogativo sui risultati dell’Emilia-Romagna si comprende al meglio il suo significato. In Calabria Forza Italia e le liste centriste a lei collegate hanno conservato intatta la loro rappresentanza e Jole Santelli ha vinto con larghissimo margine di vantaggio. In Emilia-Romagna Forza Italia è passato dall’otto per cento al due e mezzo per cento. E non è bastato il 32 per cento della Lega e il risultato triplicato di Fratelli d’Italia per consentire alla Borgonzoni di battere il governatore uscente.

Non ha del tutto torto Matteo Salvini, allora, quando rileva che una maggiore tenuta delle forze centriste emiliane e romagnole avrebbe messo la coalizione di centro destra nella condizione di conquistare la regione più rossa d’Italia. Ed ha sicuramente ragione Silvio Berlusconi quando cita la Calabria per ribadire che senza Forza Italia capace di intercettare i voti liberali, moderati e cattolici non si vince.

Entrambi hanno ragione. Ma se Forza Italia tiene solo nelle regioni meridionali e scompare in quelle centro-settentrionali si apre il problema di come colmare questo vuoto. E non è un problema da poco!

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Redazione27 Gennaio 2020

Hanno vinto le sardine ed hanno perso i grillini. Se questo è il risultato complessivo delle elezioni regionali se ne deduce automaticamente che le conseguenze del voto non potranno non incidere sul Partito Democratico, sul Movimento Cinque Stelle e sull’intero governo fondato sull’alleanza tra queste due forze politiche.

Nicola Zingaretti ha esultato per la vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna e non poteva fare altrimenti. Ma il risultato positivo non è figlio dell’impegno massiccio e diretto del Partito Democratico ma del suo esatto contrario. Il Pd si è nascosto dietro il governatore uscente nella consapevolezza che il suo simbolo non è più trainante e sarebbe stato un peso insopportabile per il candidato della sinistra. Naturalmente nessuno nega che l’apparato del tradizionale riformismo emiliano si è messo al servizio di Bonaccini. Ma il ruolo dell’apparato è stato quello della sussistenza. Perché le truppe che hanno combattuto in prima persona la battaglia sono state quelle delle sardine che hanno riempito le piazze non solo all’insegna della contestazione personale nei confronti di Salvini ma anche e soprattutto per innervare di nuova energia un Pd considerato spompato e bisognoso di un ossigeno tratto dall’archivio della sinistra più radicale.

Per il Partito Democratico, quindi, non si prospettano tempi tranquilli. Il risultato elettorale lo spinge a rincorrere la versione sardinista della sinistra radicale. E non è difficile immaginare come le conseguenze di simile rincorsa provocheranno tensioni e nuove fratture con le componenti più riformiste.

Alle agitazioni del Pd si affiancheranno quelle ancora più pesanti e drammatiche del Movimento Cinque Stelle, cioè del maggior partito della coalizione del governo nazionale di fatto evaporato come neve al sole nelle elezioni regionali.

Può essere che le fibrillazioni della sinistra e dei grillini non saranno in grado di far saltare l’esecutivo di Giuseppe Conte. Ma la strada già difficile del Presidente del Consiglio ora diventerà un vero e proprio calvario. Purtroppo non solo per “Giuseppi” ma per l’intero paese.