Bisogna dare atto a Goffredo Buccini di grande onestà intellettuale per aver sottolineato come nella discussione sulla figura politica di Bettino Craxi non siano stati affrontati temi, come quelli del finanziamento della politica, dei rapporti tra quest’ultima e la magistratura e la strettissima contiguità tra magistrati e giornalisti durante gli anni di Mani Pulite. Ma è necessario anche ammettere come appaia estremamente improbabile che dalle polemiche sulla presunta riabilitazione del leader socialista possa scaturire una riflessione complessiva sulla cosiddetta “rivoluzione giudiziaria” degli anni ’90.
Chi ha dato degli eventi di quel tempo una lettura divergente da quella politicamente corretta secondo cui l’unica chiave per raccontare la storia del secondo dopoguerra italiano è quella criminale, non ha alcuna difficoltà a ribadire che ai danni di Bettino Craxi e dell’intera classe politica democratica venne compiuto un colpo di stato post-moderno per mano di magistrati, giornalisti e poteri forti interessati a consegnare alla sinistra post-comunista ed al cattolicesimo progressista l’asse politico del paese. Ma chi ha avuto il coraggio di andare controcorrente allora si trova in minoranza anche adesso. Perché gli eredi della tradizione comunista e quelli della tradizione cattolico-progressista conservano il potere proprio sulla base del lascito avuto in eredità dalla rivoluzione giudiziaria della fine del secolo scorso. E sono perfettamente consapevoli che se solo si aprisse una discussione sulle tante questioni irrisolte di quegli anni, si spalancherebbe una voragine in cui cadrebbero in maniera rovinosa ed irreparabile la loro posizione, il loro ruolo e, soprattutto, i metodi usati per conservarli il più a lungo possibile.
Se a Craxi venisse riconosciuto di essere stato vittima dell’uso politico della giustizia, si dovrebbe automaticamente ammettere che vittima dell’identico meccanismo è stato negli anni successivi Silvio Berlusconi e che oggi l’ultimo bersaglio di un giustizialismo ottuso e feroce è quel Matteo Salvini che nell’impossibilità di battere nelle urne si vuole togliere di mezzo a colpi di processi politicizzati.
Come rompere questa spirale perversa che da trent’anni condiziona la vita pubblica del paese? Non basterà vincere le elezioni. Bisognerà soprattutto vincere la fase di governo successiva a colpi di riforme radicali!