L'Opinione delle Libertà | Arturo Diaconale - Part 13


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Redazione4 Settembre 2019

I sessantamila attivisti che sulla rete Rousseau hanno votato per il “sì” all’alleanza tra M5S e Pd non si sono espressi in favore dell’incontro storico tra populismo grillino e sinistra ma solo ed esclusivamente per la sopravvivenza del loro movimento politico. Quella sopravvivenza che sarebbe stata messa in discussione nell’eventualità delle elezioni anticipate e che, come hanno spiegato il fondatore Beppe Grillo e la quasi totalità dei dirigenti parlamentari del movimento, verrà assicurata fino a quando il governo Conte-bis rimarrà in carica.

Questa motivazione è la stessa che in passato ha portato la maggioranza degli attivisti grillini a votare in favore del “contratto di governo” con la Lega e ad avallare la difesa di Matteo Salvini sul caso della “Diciotti”. A dimostrazione che ai militanti non importa nulla dell’accordo con la Lega o con il Pd ma si schiera sempre e comunque a sostegno della linea indicata dal vertice del Movimento con la motivazione della esigenza suprema della propria perpetuazione.

Il metodo Rousseau tanto esaltato da Di Maio e Casaleggio, quindi, non è un modello innovativo di democrazia diretta ma una forma di rivisitazione telematica del centralismo democratico dei vecchi partiti comunisti. Serve non a consultare gli umori e la volontà della base ma ad avallare passivamente le indicazioni ed i voleri del vertice. In questo metodo non c’è l’esempio dei referendum svizzeri ma quello dei plebisciti del Venezuela di Maduro .

Naturalmente i capi grillini hanno tutto il diritto di adottare questo sistema di mobilitazione interna diretta all’avallo delle proprie scelte. Ma nel momento in cui lo propongono come modello di democrazia diretta alternativo alla democrazia parlamentare non fanno altro che svelare come l’obbiettivo ultimo della loro azione politica sia quello di espiantare la democrazia rappresentativa per sostituirla con il centralismo democratico e con le pratiche plebiscitarie dei regime totalitari alla Maduro.

Sul Partito Democratico non dovrebbero attecchire suggestioni di questo tipo. Ma l’esigenza di sopravvivenza dei post-comunisti, che è la stessa dei grillini, potrebbe spingere a trovare compromessi anche su questo terreno. Il taglio dei parlamentari diventa la cartina di tornasole della impermeabilità del Pd al madurismo antidemocratico del Movimento pentastellato.

In ogni caso è bene prepararsi al peggio ed incominciare a creare i comitati per il referendum contro l’attacco alla democrazia parlamentare portato dai grillini in nome della loro deriva venezuelana.

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Redazione3 Settembre 2019

Aver scongiurato con una operazione super-trasformistica i ludi cartacei per poi finire con il celebrare i ludi telematici non è una sconfitta della democrazia rappresentativa. È, più semplicemente, il segno di quanto sia caduta in basso l’attuale classe dirigente e di quanto poco reattiva sia una opinione pubblica plasmata da servi mediatici della stessa casta trasformistica.

A rischio, dunque, non è la democrazia ma la coscienza di una società che appare ben felice di essere espropriata del proprio diritto di partecipazione alla determinazione della politica nazionale da parte di irresponsabili preoccupati solo di perseguire il proprio personale “particulare”.

Ma le litanie di protesta servono a poco. Di fronte alla prospettiva di un governo formato da forze che hanno come unico obbiettivo la loro sopravvivenza a dispetto della effettiva volontà popolare, serve un progetto concreto che da un lato punti a dare vita ad uno schieramento d’opposizione capace di non disperdere il consenso maggioritario su cui al momento può contare nel paese e dall’altro porti ad intaccare il sistema dell’informazione elitaria e distorta che educa all’omologazione conformistica la coscienza civile dei cittadini.

Sul tema della lotta al sistema informativo politicamente corretto ed al servizio della casta dominante si parte da zero. In oltre venti anni di presenza maggioritaria il centro destra tradizionale ha prodotto tante polemiche contro le casematte gramsciane dell’egemonia culturale della sinistra ma nessuna azione concreta diretta a smantellare la casematte stesse o affiancarle da strutture culturali ed informative alternative e concorrenti.

Basta questo per denunciare il fallimento del centro destra tradizionale. Ma non può bastare questa denuncia per dare vita ad una opposizione consapevole che per conservare il consenso maggioritario di cui gode nella società italiana non sarà sufficiente passare dal berlusconismo al salvinismo. Serve e servirà uno schieramento articolato in cui siano presenti tutte le sensibilità contrarie alle forze del trasformismo antidemocratico, schieramento che in attesa di una riforma elettorale in senso proporzionale tutta da definire, dovrà misurarsi nelle prossime battaglie elettorali per il rinnovo dei consigli di importanti regioni italiane.

Ignorare per egocentrismo questa esigenza (non vale solo per Salvini ma anche per Berlusconi) significa consegnare l’Italia per parecchi anni ai deliri di Grillo ed alla inadeguatezza di una sinistra allo sbando.

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Redazione2 Settembre 2019

Una volta era la Lega ad essere una costola della sinistra. Ma adesso la vecchia affermazione di Massimo D’Alema è diventata un interrogativo che non riguarda il partito di Matteo Salvini ma le due forze politiche che si accingono a formare un governo guidato da Giuseppe Conte, l’ex premier del passato governo giallo-verde pronto a presiedere un governo giallo-rosso affermando di non essere un “uomo per tutte le stagioni”.

Il quesito che riguarda Pd e Movimento Cinque Stelle è chi sia la costola dell’altro. È la sinistra tradizionale che è destinata a diventare una componente sempre più minoritaria e marginale della sinistra dei tempi nuovi rappresentata dal movimento grillino? Oppure è il Movimento Cinque Stelle che si accinge ad essere fagocitato da un Partito Democratico assolutamente convinto di poter uscire dalla propria crisi solo svuotando il proprio alleato dalla sinistra che ha in sè?

La partita sui ministeri e sulle vice presidenze del Consiglio non si gioca solo sui nomi e sulle ambizioni personali ma sulla risposta che i due alleati in competizione danno a questo interrogativo. Luigi Di Maio sarà pure un arrogante giovinotto deciso a non perdere una sola oncia del grande potere raggiunto nell’anno passato. Ma la sua motivazione di fondo è quella di dare vita ad un governo che fin dalla sua nascita stabilisca in maniera evidente che la sinistra tradizionale è destinata ad essere egemonizzata da quella nuova. A sua volta il segretario del Pd Nicola Zingaretti, in questo sostenuto dall’intero partito, non ha alcuna intenzione di trasformare la sinistra nella sussistenza dei cinque stelle e punta a ribadire che l’unica costola in circolazione è quella del M5S.

In questo quadro di assoluta chiarezza l’unico elemento ambiguo è rappresentato da Giuseppe Conte, che si dice di sinistra ma evita accuratamente di chiarire a quale delle due sinistre appartenga.

Vogliamo scommettere, vista la sua capacità camaleontica di passare dal verde-giallo al giallo-rosso, che scioglierà l’ambiguità quando avrà scoperto quale sarà  la sinistra vincente?

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Redazione30 Agosto 2019

Il paradosso è che mentre il governo del Conte-bis nasce con il proposito di cancellare definitivamente il maggioritario e riesumare il sistema proporzionale dopo aver tagliato il numero dei parlamentari, il Partito Democratico sogna di tornare all’antico bipolarismo, quello della Seconda Repubblica, mettendosi ovviamente a capo del polo della sinistra allargato al Movimento Cinque Stelle.

C’è chi dice che in realtà Nicola Zingaretti voglia riesumare il proporzionale a  livello nazionale e ritornare al bipolarismo classico a livello regionale dove si vota sempre con un meccanismo di tipo maggioritario. Ma questa precisazione è solo una foglia di fico della vocazione egemonica dei post-comunisti convinti che la nascita del governo giallo-rosso li mette in condizione di tornare ad essere non solo l’asse portante dell’esecutivo ma anche la forza egemone di una sinistra di cui i grillini non sono altro che un gregge disperso da riportare all’ovile.

È evidente che, quando Grillo ha parlato con Dio ricevendone l’indicazione a sostenere Conte e l’alleanza tra M5S e Pd, non ha avuto alcuna raccomandazione al riguardo. Si vede che il Dio di Grillo non conosce la storia di quello che una volta si autodefiniva l’avanguardia dei lavoratori ed ignora totalmente che di questa forza politica l’unico e solo tratto identitario che non ha subito modifiche e trasformazioni nei decenni è proprio la sua vocazione egemonica nei confronti dell’intera sinistra.

Ma se Grillo non è stato messo in guardia dal proprio Altissimo sull’argomento, è probabile che all’interno della galassia grillina ci sia qualcuno in grado di riconoscere il pericolo a cui va incontro mettendosi sotto braccio di un compagno di strada così ingombrante e prepotente.

La sorte del Conte-bis dipenderà da questi “qualcuno” e dalla loro capacità di far comprendere al popolo grillino (non ai parlamentari che hanno evitato le elezioni anticipate e sono tutti contenti di poter continuare a contare sullo stipendio) che l’alleanza con il Pd comporta il rischio di estinzione politica del M5S.

Naturalmente nessuno può escludere che il Dio di Grillo lo abbia convinto che “meglio post-comunisti che morti”. Ma quel Dio, si sa, non conosce la storia!

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Redazione29 Agosto 2019

La discontinuità formale non c’è. Ma quella sostanziale è fin troppo evidente. Al governo Conte-Di Maio a trazione Salvini subentra un governo Conte a trazione Renzi. La crisi ha prodotto questo bizzarro risultato. Ha messo in crisi il capo politico del Movimento Cinque Stelle divenuto subordinato a Giuseppe Conte incoronato dal garante dei mondo grillino, cioè da Beppe Grillo, il vero leader del movimento. Ed ha consentito all’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi di uscire dalla limbo, in cui era stato costretto a rifugiarsi dopo il fallimento del referendum e la successiva sconfitta elettorale, ed a rilanciarsi nel ruolo di super-segretario di un Pd in cui il segretario ufficiale non può avere altri compito che adeguarsi alla linea del superiore.

Una discontinuità così forte ha un solo e grande difetto. Vale solo all’interno del Palazzo. Nel paese reale non viene minimamente percepita. Perché il messaggio di Conte che succede a se stesso è più forte di qualsiasi valutazione politica su chi sale e chi scende nelle gerarchie del potere politico nazionale e dei singoli partiti.

Nell’opinione pubblica, che ha una memoria storica sedimentata e profonda, il Conte-bis diventa una operazione trasformistica in tutto simile a quelle della Prima Repubblica che vedevano i maggiorenti democristiani andare a tornare a Palazzo Chigi facendo finta che tutto dovesse cambiare tranne le loro facce, i loro clientes ed i loro metodi di governo.

Sul piano dell’immagine, dunque, il nuovo esecutivo parte appesantito da un marchio trasformista difficilmente eliminabile. A questa difficoltà si aggiunge poi quella, non dell’immagine ma della sostanza, di dover dipendere dall’esito delle lotte interne del Movimento Cinque Stelle e della precarietà del rapporto esistente nel Pd tra il super-segretario Renzi ed il segretario minore Zingaretti.

Conte potrà pure tentare di comportarsi da grande statista forte delle benedizione di Trump, Macron, Merkel e Vaticano ma la sua permanenza a Palazzo Chigi dipenderà dai regolamenti di conti interni del mondo grillino e di quello della sinistra. Cioè dai capricci di Grillo e dalle giravolte di Renzi.

Nel dare il via ad un governo del genere Sergio Mattarella si è assunto una bella responsabilità!

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Redazione28 Agosto 2019

Una volta, in Italia, a parlare con Dio ci pensava solo il Papa. Ma quello di adesso, Francesco, è troppo impegnato a trasformare la Chiesa in una Ong senza navi per perdere tempo a dialogare con l’Altissimo. In compenso, però, pur non avendo avuto alcuna investitura dallo Spirito Santo, a parlare con Dio ci sono Eugenio Scalfari e Beppe Grillo. Il primo, che esibisce la propria testa come un tempo i parroci esibivano il Santissimo Sacramento ai fedeli intimoriti da una così alta visione, lo fa scrivendo libri ed editoriali domenicali. Nei primi tiene a ricordare al popolo di essere un Padreterno. Negli altri, pur dimenticando  che dagli anni giovanili della fede fascista ad oggi non ne ha mai azzeccata mezza, cerca di ribadire che gli oltre settanta anni di apostolato giornalistico livoroso ed intollerante gli assegnano il diritto di pretendere la genuflessione adorante dei poveri di spirito.

Più diretto e meno contorto intellettualmente è invece Beppe Grillo. Lui con Dio ci parla direttamente senza il bisogno di esibire titoli e benemerenze di sorta. E da Dio, a cui arriva in quanto auto-elevato, riceve le indicazioni da riportare ai comuni mortali immerso della loro desolante mediocrità ed ignoranza.

Ora nessuno può negare che il comico genovese abbia barba e capigliatura da attore americano impegnato ad interpretare Mosè in un qualche film del filone biblico.  Ma può bastare una rassomiglianza fisica ed una tendenza a trasformare la comicità in messianesimo a giustificare la tendenza di Beppe a salire il suo personale monte Sinai discendendone con le tavole della legge da consegnare al popolo grillino nel frattempo obnubilato dal vitello d’oro Di Maio?

Naturalmente Grillo ha tutto il diritto di atteggiarsi a Mosè che parla con Dio e trasmette i voleri dell’Altissimo ai peccatori colpevoli di essere mediocri e non capire un accidente. Ma non sarà il caso, come nella favola del bambino e del re nudo, che qualcuno incominci a denunciare non la lucida follia di Beppe ma la drammatica mattità di un paese talmente ammalato da arrivare addirittura a prendere sul serio chi si crede Mosè invece di credersi Napoleone?

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Redazione27 Agosto 2019

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso, con la scelta di articolare le nuove consultazioni in due giornate, ventiquattr’ore in più a M5S ed a Pd per concludere la loro trattativa diretta alla formazione di un governo giallorosso.

È possibile che questo tempo possa essere utilizzato dalle delegazioni del democratici e dei grillini per smussare gli angoli di una intesa sui nomi del Premier, dei ministri e del commissario Ue. Ma è estremamente improbabile che la discussione sulla distribuzione delle poltrone consenta alle delegazioni dei due partiti ( ma nel perimetro dell’alleanza sarebbero previste le altre forze della sinistra, Leu E Più Europa e se lo dovessero essere perché mai alla trattativa non sono state chiamate a partecipare?) di approfondire la piattaforma programmatica del nuovo esecutivo.

Per concordare il contratto di governo tra Lega e M5S ci sono voluti un paio di mesi di discussione e confronto. Per fissare le linee di azione del governo giallo-rosso, invece, dovrebbero bastare appena un paio di giorni. Il tempo per concordare i titoli degli argomenti lasciando al futuro il compito di approfondire i capitoli programmatici.

Può essere che il Capo dello Stato, magari sulla spinta delle pressioni che giungono non solo dall’Unione Europea ma anche e soprattutto dal Vaticano, passi sopra a questo particolare e dia la sua benedizione ad una unione che si fonda su un programma che si realizzerà “strada facendo”. Ma un uomo della sua esperienza non può non rendersi conto che il governo giustificato dalla necessità assoluta di scongiurare l’aumento dell’Iva ed il tracollo dei conti pubblici , in questo modo nascerebbe sulla base di un programma “strada facendo” cioè senza alcun tipo di programma.

È probabile che nell’epoca di twitter un esecutivo fondato su 140 caratteri sia assolutamente normale. Ma nelle richieste fatte ai partiti da Sergio Mattarella non c’era quella di rinviare al dopo la decisione delle misure da prendere per fronteggiare la tanto strombazzata emergenza. C’era, al contrario, oltre alla definizione di un perimento, al momento ancora oscuro, anche l’indicazione della base programmatica.

Tutto questo non c’è. E dare il via al governo del “programma strada facendo” sarebbe un precedente gravissimo per un Presidente della Repubblica che deve garantire la Costituzione Repubblicana e non quella dei twitter!

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Redazione9 Agosto 2019

Il voto anticipato è la vera e grande occasione di cambiamento per quella parte del Paese, ormai maggioritaria, che si vuole liberare una volta per tutte dalla casta di potere dominante dagli anni Sessanta del secolo scorso ad oggi. Il governo tra Lega e Movimento Cinque Stelle ha fallito proprio perché non è stato in grado di realizzare questo tipo di cambiamento. La galassia grillina, imbevuta di giustizialismo regressivo e priva di una qualche visione politica, ha rappresentato la palla al piede di chi avrebbe voluto e vorrebbe operare una svolta epocale per risvegliare e dare nuovo slancio alla società italiana.

Le prossime elezioni non saranno lo scontro di Matteo Salvini contro tutti. Saranno la partita finale tra chi chiede il rinnovamento e chi vuole invece rimanere fermo ad un passato segnato da interessi di pochi privilegiati e da una cultura ormai asfittica ed agonizzante.

È per questo motivo, per chi ha tenuto accesa per anni la fiaccola della cultura liberale conculcata e schiacciata da quella cattocomunista al potere, che non ci possono essere dubbi su quale debba essere la scelta di campo. Il populismo e il carattere irruento e deciso di Matteo Salvini spaventano? Chi nutre simili timori ma vuole uscire dalla paralisi deve considerare che le caratteristiche personali del leader leghista possono essere la leva indispensabile per scoperchiare la cappa di piombo che schiaccia il Paese e provocare il trauma indispensabile per la liberazione della società italiana.

Sia pure sotto forme diverse, in sostanza, ora si riaccende il sogno della rivoluzione liberale, quella non realizzata nel ventennio berlusconiano a causa del conflitto d’interessi del Cavaliere e delle resistenze di alleati intrisi e succubi della vecchia cultura e delle vecchie caste.

Tutto questo, ovviamente, non comporta la corsa in massa sul carro del vincitore. Comporta, al contrario, l’appello a Salvini a dare vita ad una coalizione in cui il blocco populista e sovranista di Lega e Fratelli d’Italia sia affiancato da forze autenticamente di destra liberale decise a perseguire il cambiamento. Forza Italia può essere considerata una di queste forze? Solo se depurata da cortigiani e pesi morti interessati esclusivamente alla sopravvivenza politica personale.

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Redazione8 Agosto 2019

In un sistema parlamentare il Parlamento è il luogo in cui si forma la maggioranza che esprime il governo.  Ed è anche il luogo in cui si certifica, con il voto su questioni politicamente qualificanti, la fine della maggioranza e la conseguente caduta del governo.

Si può considerare il tema della Tav come una questione politicamente irrilevante? Ovviamente la risposta è negativa. È stato uno dei principali argomenti fondativi del Movimento Cinque Stelle e rappresenta la cartina di tornasole della totale differenza di impostazione politica e strategica tra la Lega ed i grillini. Questi ultimi sostengono che non il voto sulla Tav non riguarda e non tocca il governo. Ma la loro non è soltanto una manifestazione di analfabetismo istituzionale ma è anche e soprattutto una trovata dialettica per salvare la faccia rispetto ad un elettorato a cui avevano promesso che una volta al governo avrebbero bloccato la Tav e tutti i grandi lavori considerati la fucina di ogni forma di corruzione e malaffare del “ partito del cemento”.

La contraddizione, nel presentare come politicamente irrilevante la sconfitta subita in Parlamento sul tema più identitario della propria azione politica, è fin troppo evidente. Tanto più che questa sconfitta è avvenuta grazie al voto congiunto delle forze dell’opposizione e dell’altra componente della maggioranza. Ma quel che è peggio è che una contraddizione del genere non tranquillizza affatto l’elettorato del Movimento Cinque Stelle. Che sarà pure formato da ingenui giustizialisti ma non da babbei imbesuiti destinati a bere qualsiasi fandonia viene loro propinata dal gruppo dirigente grillini. La toppa, in sostanza, è peggiore del buco. E Beppe Grillo, che non è un babbeo, si è guardato bene da sostenerla limitandosi a prendere atto che sulla richiesta di cancellazione della Tav il Movimento non ha la maggioranza in Parlamento. Come a dire che gli elettori grillini se ne debbono fare una ragione e non possono non apprezzare la battaglia di principio condotta dal Movimento pur sapendo di andare incontro ad una sconfitta certa.

I grillini, allora, sono con le spalle al muro. Debbono subire passivamente le proteste della propria base e sono alla mercé, per quanto riguarda la loro sopravvivenza al governo, dalle decisioni di Matteo Salvini. Il che, paradossalmente rinvia la crisi almeno all’autunno. Perché mai il leader leghista dovrebbe rinunciare a sfruttare durante l’estate la condizione di difficoltà e di vassallaggio a cui i grillini si sono assoggettati?

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Redazione7 Agosto 2019

Il dramma della sinistra è di essere vittima e succube di quel ceto mediatico che si raccoglie attorno ai grandi giornali ed ad alle principali reti televisive e che la stessa sinistra ha allevato, istruito, favorito e trasformato in casta elitaria chiusa ad ogni fattore di novità della società italiana.

Questo dramma non è nuovo. Si può dire che dalla morte di Enrico Berlinguer in poi la guida del popolo di sinistra si è spostata dal gruppo dirigente del Pci al ceto mediatico privilegiato. Negli anni Novanta il fenomeno si è arricchito del circo mediatico-giudiziario che ha consentito la cosiddetta rivoluzione di “Mani Pulite”. Cioè del rafforzamento del ruolo di guida dei media politicamente schierati che non si sono più limitati a sostituire il gruppo dirigente della sinistra in genere e del Pci in particolare, ma hanno aggiunto al novero dei loro seguaci anche una larga fetta della magistratura. Non è forse vero che in questo periodo l’obbiettivo principale di ogni Pm impegnato nelle inchieste tese a fare pulizia nel mondo politico è stato di avere il può largo consenso popolare attraverso il totale appoggio dei media?

Nel ventennio berlusconiano il ruolo del ceto mediatico messo in piedi dalla sinistra e divenuto suo “padrone” è diventato ancora più marcato. Anche perché l’assenza di una visione innovativa della società da parte della sinistra è stata supplita dalle campagne di odio e denigrazione portate avanti con la massima spregiudicatezza ed intolleranza lanciate a getto continuo contro il nemico comune dagli intellettuali, dai giornalisti e dai loro interessati finanziatori facenti parte di quella che nel frattempo si era trasformata in casta carica di privilegi e di potere.

Questo meccanismo ha retto fino a quando la rivolta popolare e populista, iniziata con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, non si è estesa anche in Europa ed ha segnato profondamente anche il nostro Paese. Ora il ruolo dominante sulla sinistra del ceto mediatico privilegiato è venuto completamente alla luce. Il Pd ed il resto del fronte politico progressista affonda nella propria crisi di idee e si affida totalmente ai propri media di riferimento. Questi ultimi, però, che per tanti anni sono stati in sintonia con la parte progressista dell’opinione pubblica, adesso che questa parte progressista si è invecchiata ed ha perso ogni forma di vigore, risulta totalmente scissa dalla realtà. Sempre più chiusa nei propri privilegi e sempre più autoreferenziale, interpreta i fermenti più profondi della società con gli schemi logori della propria vetusta egemonia culturale. E condanna la sinistra a non rinunciare a quella identità elitaria che la sta portando ad isolarsi sempre di più rispetto al comune sentire del popolo italiano e ad avvoltolarsi tragicamente drammaticamente nella propria crisi.

La faccenda non dispiace affatto. Anche al tramonto della sinistra e dei suoi padroni mediatici seguirà fatalmente un’alba diversa. Come dare corpo e sostanza a questa diversità è la vera sfida per il futuro!