L'Opinione delle Libertà | Arturo Diaconale - Part 17


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Redazione18 Giugno 2019

La lettera, che il Premier Giuseppe Conte deve inviare all’Unione europea per impostare la trattativa tesa ad evitare la minacciata procedura d’infrazione, l’hanno già scritta e resa pubblica i due vicepresidenti del Consiglio Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il senso di questa lettera è che se la Commissione europea deciderà per la procedura d’infrazione, Lega e Movimento Cinque Stelle risponderanno con le elezioni anticipate precedute da una campagna elettorale in cui i due partiti chiederanno il consenso degli italiani sulle rispettive tesi politiche alternative a quelle della politica europea ancora dominante.

Non è un caso che il leader leghista abbia lanciato dagli Stati Uniti una proposta di drastica riduzione delle tasse per riattivare l’economia del Paese dichiarando di ispirarsi esplicitamente al modello di Donald Trump del tutto alternativo a quello dell’asse franco-tedesco europeo. Salvini ha di fatto aperto la campagna elettorale della Lega con un tema che è condiviso dalla stragrande maggioranza dell’elettorato del centrodestra e che lo smarca dalla posizione marginale in cui si trova in Europa, per trasformarlo nel principale alleato degli Stati Uniti di Trump in Europa.

Una operazione identica è stata compiuta da Luigi Di Maio. Salvini suona la tromba della riduzione delle tasse? Il Movimento Cinque Stelle fa rintoccare la campana dell’assistenzialismo lanciando, dopo il reddito di cittadinanza, il salario minimo fissato per legge di cui dovrebbero beneficiare circa tre milioni di cittadini impiegati nelle attività meno remunerative per un costo complessivo per le aziende che qualcuno calcola in 3,2 miliardi e qualche altro in 4,2 miliardi di euro.

Di fronte alla proposta del taglio delle tasse in debito e dell’assistenzialismo da finanziare con un adeguato taglio del cuneo fiscale sempre finanziato dall’aumento del debito, viene automatico sollevare l’interrogativo sulla effettiva realizzabilità di simili programmi elettorali. Ma, prima ancora della reale concretezza dei due progetti, va valutato il significato politico generale della iniziativa di Salvini e Di Maio.

La minaccia di elezioni anticipate in Italia da tenere all’insegna della rottura con la Ue può evitare la procedura d’infrazione? Rischio calcolato o semplice azzardo?

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Redazione17 Giugno 2019

Se è vero che tutti i salmi finiscono in gloria, è ancora più vero che tutti gli scontri di potere finiscono in un regolamento di conti all’interno del Partito Democratico. Il caso del Consiglio superiore della magistratura è sintomatico. Le lotte correntizie dilaniano la magistratura, soprattutto perché i contendenti usano le inchieste giudiziarie per liquidarsi a vicenda, e la scoperta dell’acqua calda secondo cui da sempre il maggiore partito della sinistra tratta il mondo delle toghe come una propria proprietà privata, offre l’occasione al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, per rompere la pax post-congressuale nel partito e cercare di affondare definitivamente Matteo Renzi e la sua corrente.

In apparenza la faccenda può apparire come una sorta di banalizzazione partitica di una questione di primaria importanza come la crisi del sistema della giustizia nel nostro Paese. In realtà è proprio la dimostrazione dell’interconnessione esistente tra le liti nella magistratura e quelle dentro il Pd a mettere in mostra come alla radice della crisi della giustizia non ci sia solo la degenerazione del sistema correntizio delle toghe, ma ci sia soprattutto il condizionamento politico che dall’inizio degli anni ’80 la sinistra italiana ed il suo maggiore partito hanno esercitato in maniera continuativa su questo settore decisivo per la libertà dei cittadini e la tenuta del sistema democratico della Repubblica.

Se si vuole sul serio avviare una riforma della giustizia fondata sulla separazione netta tra politica ed amministrazione della giustizia, non si può non partire dallo smantellamento dell’egemonia esercitata per decenni dai dirigenti che si sono succeduti alla guida dei partiti cosiddetti progressisti. Una volta queste forze politiche erano il Pci e la sinistra Dc successivamente confluite nel Pd. Oggi lo scandalo del Csm sembra destinato ad accelerare il processo in atto di separazione tra i renziani eredi della Margherita ed i post-comunisti di Nicola Zingaretti. Ed è chiaro che la fine dell’egemonia perniciosa della sinistra sulla giustizia deve andare di pari passo con la fine dell’unità fittizia del Partito Democratico.

Naturalmente non basta sperare nella spaccatura del Pd per arrivare a separare la politica dalla giustizia. Il pericolo è che finita una egemonia ne scatti un’altra, magari ispirata a quel giustizialismo radicale che rende omologhe certe correnti della magistratura con le componenti più intransigenti del Movimento Cinque Stelle. Ma partire dalla fine dell’egemonia progressista per liberare le toghe dai condizionamenti della sinistra è già un passo in avanti. Per il resto basteranno leggi adeguate per impedire l’osmosi tra Procure e Parlamento e bloccare la tentazione di nuove egemonie devastanti.

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Redazione14 Giugno 2019

Si illude il Presidente della Repubblica quando pensa che basti indire le elezioni suppletive destinate a sostituire i consiglieri dimissionari o dimissionati del Consiglio superiore della magistratura per risolvere la questione sollevata dal caso Palamara. Ma si illudono anche i tanti che propongono come soluzione ancora più drastica e definitiva della vicenda lo scioglimento dell’attuale Csm e l’elezione di un nuovo organo di autogoverno dei magistrati.

Queste illusioni si basano sulla convinzione che sia sufficiente cambiare le persone per riattivare il sistema. Invece, il nodo da sciogliere è rappresentato proprio dal sistema. Che non è solo quello delle correnti divenute ormai da alcuni decenni le detentrici del potere all’interno della categoria dei magistrati, ma che è anche quello del processo di osmosi continuo tra toghe e la sinistra politica italiana iniziato proprio da quando le correnti hanno assunto il ruolo determinante ora venuto drammaticamente alla luce.

Il famoso trojan inserito nel cellulare di Luca Palamara ha fatto emergere non solo la lotta tra correnti, tra bande, tra singoli magistrati preoccupati della propria personale carriera ma anche, e soprattutto, il rapporto di interconnessione esclusivo e continuo tra i gruppi di potere della magistratura ed il maggiore partito della sinistra, un rapporto che non è una eredità solo della segreteria di Matteo Renzi, ma che va vanti senza soluzione di continuità dai tempi di Enrico Berlinguer fino a quelli attuali di Nicola Zingaretti.

Non c’è bisogno di citare nomi e date. Chiunque abbia un minimo di conoscenza delle vicende politiche e giudiziarie della storia repubblicana sa perfettamente che dal predominio della Dc sul mondo delle toghe dei due primi decenni del secondo dopoguerra si è passati ad una egemonia progressiva e totalizzante del principale partito della sinistra nei confronti della magistratura. Quest’ultima è stata per la riserva di personale politico qualificato del Pci, del Pds, del Pd e della sinistra democristiana. Secondo una prassi che si è perpetuata ininterrottamente anche durante gli anni dei governi di centrodestra del ventennio berlusconiano, anni in cui l’intera magistratura era schierata all’opposizione al fianco delle forze progressiste.

I trojan nel cellulare di Palamara, che probabilmente voleva essere un modo per frenare quella “discontinuità” nella gestione della Procura di Roma verso cui puntavano le correnti più contigue al Partito Democratico, è stata la bomba atomica che ha fatto saltare il coperchio su degenerazioni correntizie, interessi di gruppo e personali ed osmosi perenne tra toghe e sinistra.

Non saranno le suppletive o l’azzeramento del Csm a realizzare il cambiamento. Ci vorrebbe una vera riforma. Ma c’è qualcuno realmente convinto che la possa fare il povero e inadeguato Alfonso Bonafede?

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Redazione13 Giugno 2019

“Facite ammuina”. L’annuncio di una imminente rivoluzione organizzativa all’interno di Forza Italia ricorda il famoso ordine attribuito alla marina borbonica. Chi sta sopra va sotto e chi sta sotto va sopra, chi sta a prua va a poppa e chi sta a poppa va a prua e via di seguito. In modo che apparentemente tutto cambi ma nella sostanza tutto rimanga immutato. Invece di nessun coordinatore almeno tre o cinque coordinatori che rinnovano i coordinatori regionali e preparano un congresso in cui il “facite ammuina” sia diretto a ribadire la regola gattopardesca del cambiamento che serve solo all’immutabilità.

L’annuncio di questa rivoluzione apparente è un segno inequivocabile della difficoltà di prendere atto che il primo ed indispensabile problema da risolvere non è quello della rotazione dei dirigenti ma quello della definizione della linea politica. Quale processo di rilancio potrebbe dare una segreteria di coordinatori formata da chi pensa che il futuro di Forza Italia sia di fare l’intendenza di Matteo Salvini, da chi è convinto che non ci sia altra strada oltre quella di diventare l’appendice scodinzolante del Partito Democratico o di chi ancora non ha scelto da che parte andare a proporsi come umile vassallo?

Può sembrare singolare che la forza politica a cui si deve, grazie all’intuizione di Silvio Berlusconi, di aver dato vita al centrodestra di governo negli ultimi venticinque anni del nostro paese non riesca a comprendere quale debba essere la propria linea e la propria collocazione nel panorama politico del paese. Certo, il centrodestra del ’94 non esiste più, i rapporti di forza all’interno dell’area inventata dal Cavaliere sono radicalmente mutati, le forze populiste e sovraniste sopravanzano di molto quelle d’ispirazione liberale, popolare, riformatrice. Ma, come dimostrano tutte le tornate elettorali che si sono tenute negli ultimi anni, l’unica maggioranza solida e vincente esistente nella società italiana è quella che vede uniti sovranisti, populisti e liberaldemocratici d’ispirazione sia cattolica che laica.

Quale può essere allora la linea politica di una Forza Italia che non tradisce l’ispirazione originaria di Berlusconi ma si adatta con realismo alla realtà del momento, se non quella di rilanciare il proprio ruolo di aggregatore delle componenti liberali, popolari e riformiste all’interno del centrodestra? Una linea del genere non può essere vassalla di Salvini o di Carlo Calenda. Se lo fosse perderebbe qualsiasi legame con il proprio elettorato. Per necessità, prima ancora che per convinzione, deve essere autonoma, indipendente ma saldamente ancorata all’alleanza del fronte alternativo alle sinistre ed al giustizialismo grillino.

Il problema degli uomini e delle donne incaricate di gestire questa linea di autonomia ed indipendenza nel centrodestra viene dopo. Ma è chiaro che per essere autonomi ed indipendenti non si può essere cortigiani. Questi ultimi pensano solo a quale possa essere il vassallaggio più utile alle proprie persone. Ed in attesa di scoprirlo fanno “ammuina”!

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Redazione12 Giugno 2019

Ci sono due aspetti della vicenda del Csm e delle trame tra le correnti della magistratura per le nomine nelle Procure che meritano di essere esaminate con particolare attenzione. La prima è la battaglia in corso, sempre tra le correnti, per i quattro posti in Csm che si libererebbero a beneficio delle correnti più radicali e giustizialiste se i sospesi aderenti a correnti più moderate si dimettessero definitivamente dai loro incarichi. La seconda è che le presunte trame correntizie in cui erano implicati esponenti delle correnti definite moderate si svolgevano all’interno di un solo ed unico quadro politico di riferimento, quello della sinistra e del Partito Democratico.

Sul primo aspetto si assiste ad una lotta al coltello tra chi preme per le dimissioni dei quattro componenti del Csm e chi li difende a spada tratta. Una lotta in cui l’arma dell’accusa di trame correntizie serve a far vincere alcune correnti a vantaggio di altre. E la difesa di chi si rifiuta di dimettersi non è motivata solo dalla rivendicazione di non aver compiuto alcun reato nel discutere le nomine nelle Procure, ma soprattutto dalla volontà di non far prevalere le correnti avversarie a scapito delle proprie. Chi si scandalizza e solleva la questione morale sulle pratiche spartitorie tra le correnti, pratiche sempre esistite ed impossibili da sostituire finché rimarrà in piedi il sistema correntizio, deve dunque sapere che la sua è una battaglia ridicola. In un caso o nell’altro serve solo a dare forza ai gruppi organizzati per differenti posizioni politiche ed ideologiche nella magistratura.

Il secondo aspetto, poi, è forse più grave del primo. Perché in un quadro politico caratterizzato dal predominio della Lega e del Movimento Cinque Stelle si sarebbe pensato che i riferimenti politici esterni alla magistratura delle diverse correnti non potessero escludere queste forze e quelle più vicine alla maggioranza del centrodestra. Invece gli unici e soli interlocutori degli esponenti delle correnti, anche di quelle considerate più moderate, erano del Partito Democratico, Luca Lotti e Cosimo Ferri. A dimostrazione e conferma di un legame storico tra sinistra e magistratura nato al tempo della nascita delle correnti e consolidatosi nel corso dei decenni grazie anche alla circostanza che la stragrande maggioranza delle toghe decise ad avere una esperienza parlamentare e di governo vengano accolte con i massimi onori dalla sinistra in generale e dal Pd in particolare. Questo meccanismo non è mai finito. Le inchieste dimostrano che la magistratura continua ad essere un terreno di pertinenza della sinistra. Alla faccia dell’indipendenza e dell’autonomia, formule astratte ed ipocrite che servono solo a nascondere una dipendenza reale e concreta. Che si aspetta a riformare dalle radici il sistema giustizia?

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Redazione11 Giugno 2019

Giuseppe Conte è entrato nel vertice notturno di lunedì ricordando a Matteo Salvini che il voto europeo e quello amministrativo non hanno inciso sugli attuali equilibri del Parlamento e che se vuole far valere il suo 34 per cento europeo anche nel quadro politico italiano deve andare alle elezioni nazionali e bissare il risultato di maggio. Lo stesso Giuseppe Conte è però uscito dallo stesso vertice notturno prendendo atto che se vuole evitare lo scioglimento anticipato ed il ricorso alle urne non può non tenere conto dei mutati rapporti di forza tra Lega e Movimento Cinque Stelle ed accettare che la trazione leghista si sostituisca a quella grillina all’interno del Governo a dispetto degli immutati numeri parlamentari.

Il Presidente del Consiglio ed il Mentore che si è trovato negli ultimi tempi, cioè il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sanno che se vogliono evitare le elezioni anticipate non possono non accettare il nuovo ruolo assunto dal partito di Matteo Salvini. È la logica della politica. Quella che dopo il precedente voto europeo che diede il quaranta per cento al Partito Democratico trasformò l’allora segretario del Pd Matteo Renzi nel padrone assoluto della vita pubblica italiana. E che oggi mette Salvini nella condizione di dettare le priorità dell’agenda di governo stabilendo che Conte ha il via libera per gestire la trattativa con l’Unione europea per evitare la procedura d’infrazione ma la può portare avanti senza derogare dalla esigenza primaria imposta dalla Lega di ridurre la pressione fiscale nel nostro Paese.

Si può rilevare, come fanno le opposizioni, che la linea della riduzione delle tasse realizzata con lo sforamento ulteriore del debito è irrealistica e pericolosa. Ma il dato è che Conte, sempre che non voglia scegliere le elezioni anticipate, alla linea salviniana deve attenersi senza cercare deroghe o scappatoie di sorta.

La conseguenza è che la cosiddetta seconda fase del Governo giallo-verde parte sotto questa spada di Damocle. O si accetta la trazione salviniana o si va al voto. Luigi Di Maio pare averlo capito, Giuseppe Conte forse, Sergio Mattarella (che poi è il vero interlocutore di Salvini) non si sa. Per il Governo il futuro appare più precario che mai!

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Redazione10 Giugno 2019

Il problema di Forza Italia è costituito da un nodo apparentemente inestricabile. Fino a quando Silvio Berlusconi continua ad essere operativo al vertice del partito, qualsiasi eventuale macro o micro scissione porta fatalmente a dare vita ad un soggetto politico marginale. Ma, al tempo stesso, fino a quando qualsiasi rinnovamento di Forza Italia è obbligato a concludersi in un congresso che serve esclusivamente a riconfermare per acclamazione Silvio Berlusconi ed il suo cerchio carcerario alla guida del partito, chiunque abbia voglia ed energie da spendere per ridare voce all’area moderata si guarda bene dall’impegnarsi in qualsiasi modo.

Gli antichi sintetizzavano un simile nodo con la formula del “nec sine te, nec tecum vivere possum”. Ma si riferivano ad un rapporto amoroso destinato comunque ad andare avanti all’insegna del massimo tormento e non ad una vicenda politica che per non essere paralizzante e dall’esito nefasto potrebbe trovare una soluzione in grado di riconoscere ed esaltare il ruolo del Cavaliere ma, al tempo stesso, mettere in condizione chi punta al rinnovamento ed al rilancio di Forza Italia di impegnarsi con le proprie legittime ambizioni.

L’impresa impossibile può diventare reale ad una sola condizione. Che il congresso destinato a sacralizzare il ruolo di Berlusconi consenta la contendibilità di tutte le altre cariche di partito, a partire da quella del segretario o del coordinatore politico.

Si tratta, in sostanza, di dare vita ad assise nazionali aperte a tutte le diverse componenti dell’area moderata in cui il metodo della cooptazione rimanga in vigore solo per il Fondatore, lasciando il posto al metodo della competizione democratica tramite elezioni per tutti gli altri ruoli della struttura del partito.

È una utopia immaginare il passaggio dal leaderismo assoluto al leaderismo costituzionale con il leader che regna ma consente che il governo del partito venga deciso dalla base degli iscritti e dei sostenitori?

Probabilmente si tratta di una ipotesi difficilmente realizzabile. Quella di un congresso che si apre con l’acclamazione di Berlusconi a presidente a vita e che va avanti con una discussione sulle tesi politiche di chi si candida alla guida politica e concreta del partito. Oppure, quella di un congresso che ribadita l’inamovibilità del leader faccia scattare una procedura di primarie per eleggere gli organi costituzionali di Forza Italia.

Certo, potrebbe stupire assistere ad una corsa tra i vari Toti, Carfagna, Gelmini, Brunetta e altri con Berlusconi disposto ad accettare la volontà degli iscritti e dei simpatizzanti. Ma senza questo stupore è bene sapere che il tormento del “nec sine te, nec tecum” porta inevitabilmente alla fine di Forza Italia!

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Redazione7 Giugno 2019

Ci voleva la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Ue ai danni del nostro Paese per ricompattare i due partiti di governo facendo rimarginare in un colpo solo le innumerevoli ferite che si erano inferte vicendevolmente nel corso della campagna elettorale europea! Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno subito ritrovato la “leale collaborazione” sollecitata nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ed il cemento di questa rinnovata sintonia è stata la necessità di fare fronte comune nel ribadire alla Commissione europea che il Governo cercherà di trovare un compromesso sulle richieste europee sulla riduzione del debito, ma non accetterà di applicare nuove politiche di austerità ai danni dei cittadini italiani.

È difficile che questa posizione di netto diniego ad un ennesimo aumento delle tasse e di taglio delle spese sociali riesca a creare le condizioni per evitare la procedura d’infrazione e trovare un’intesa con la Commissione Ue. Ma di sicuro una posizione del genere è destinata a raccogliere grande consenso tra la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica del Paese. Un consenso che mette l’Esecutivo al riparo dal rischio di cadute rovinose e fa escludere l’eventualità di quella crisi che una volta aperta porterebbe automaticamente alle elezioni anticipate.

Chi aveva salutato con piacere le sberle date al Governo dai commissari europei, nella convinzione che avrebbero dato il colpo di grazie all’alleanza giallo-verde, non può non prendere atto di questa realtà. La procedura d’infrazione diventerà operativa in tempi molto lunghi. Il consenso è invece una conseguenza praticamente immediata. E questa conseguenza non solo consente all’Esecutivo di scavallare senza eccessivi problemi l’estate, ma lo mette anche in condizione di affrontare con maggiore sicurezza la successiva fase autunnale incentrata su una difficilissima nuova legge di stabilità.

Naturalmente nessuno può escludere eventuali incidenti di percorso. O lo scoppio di nuove tensioni nella maggioranza a causa di possibili impuntature del Movimento Cinque Stelle sull’applicazione del contratto di governo secondo le necessità e le priorità della Lega.

Al momento, però, c’è da registrare che la “nemica Ue” ha fatto un inconsapevole regalo a Salvini e Di Maio. Forse per confermare che in fondo l’Europa serve?

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Redazione6 Giugno 2019

C’è molta schizofrenia in quanti s’indignano per le cene in cui i rappresentanti delle correnti della magistratura s’incontrano per tessere trame (che essendo notturne sono ovviamente oscure) sulle nomine dei capi delle Procure. E contemporaneamente si ergono a difesa dell’indipendenza della magistratura quando Matteo Salvini denuncia il fenomeno di giudici che manifestano pubblicamente il loro sostegno all’accoglienza indiscriminata ed emettono sentenze ispirate rigorosamente alle proprie convinzioni politiche.

L’indipendenza della magistratura dovrebbe valere in entrambi i casi. Non solo in quello in cui i giudici interpretano la legge sulla base delle proprie convinzioni politiche, ma anche in quello in cui si riuniscono in cene aperte anche ad esponenti di un partito per trovare intese sulle nomine dei procuratori. Invece in questo momento le trame sono oscure e fanno scattare sdegno, condanna ed esecrazione mentre la denuncia di un comportamento politico nell’uso della giustizia suscita furibonde levate di scudi in difesa del diritto inalienabile del magistrato a nutrire e manifestare le proprie opinioni politiche.

La spiegazione di tanta bizzarra schizofrenia non è il doppiopesismo morale ma il diverso interesse politico. Dipingere gli artefici delle trame oscure come una banda di toghe degenerate da espellere dalla magistratura è il modo migliore per favorire un ricambio nel Csm che veda la prevalenza di quelle correnti di sinistra estrema su quelle più moderate uscite vincitrici alle ultime elezioni interne alla categoria. Al tempo stesso, difendere le toghe che applicano la legge sulla base delle proprie convinzioni ideologiche è uno dei tanti modi per creare problemi al ministro dell’Interno, Matteo Salvini. A cui non si perdona di aver vinto le elezioni europee e di essere diventato l’avversario principale di quella parte della sinistra che da sempre nasconde dietro il diritto del magistrato-cittadino a manifestare le proprie opinioni la tentazione e la pratica ad usare la giustizia come strumento di battaglia politica.

A fare danni ed a provocare una ennesima ondata di sfiducia dei cittadini nei confronti dell’intero sistema della giustizia, però, sono sia le cene dei congiurati correntizi che le sentenze ispirate alle convinzioni politiche ed ideologiche. E per eliminare questa sfiducia c’è un solo modo: riformare alle radici il sistema che consente la degenerazione delle correnti e l’interpretazione politica della legge!

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Redazione5 Giugno 2019

Nel Conclave, per la scelta del nuovo Papa, interviene lo Spirito Santo. Nel Consiglio superiore della magistratura, per la designazione dei Procuratori Capo delle principali procure nazionali, intervengono le correnti.

La differenza, anche se apparentemente scherzosa, non è di poco conto. Perché anche i cardinali di Santa Romana Chiesa sono organizzati in gruppi e gruppetti orientati in maniera diversa e tra loro conflittuali. Anche loro trattano, s’incontrano, discutono e litigano in massima riservatezza per arrivare ad un accordo sul nome del successore di Pietro. Ma questo reticolo di relazioni, spesso segnate da perfidie e malevolenze poco cristiane, sono coperte dalla licenza religiosa data dallo Spirito Santo. E, sempre che al terzo elemento della Trinità non spunti una vocazione giustizialista, ogni oscurità e possibile nefandezza viene coperta dalla comune volontà di attribuire sempre e comunque la scelta del Papa alla volontà superiore, indiscutibile ed infallibile per definizione.

Nel Csm le correnti non possono appellarsi allo Spirito Santo. Anche se sono rappresentate da magistrati prestigiosi, le loro manovre per la scelta dei capi delle Procure e delle massime nomine della magistratura hanno come unica copertura la riservatezza. Che nel passato dipendeva dalla prudenza e dalla accortezza degli artefici delle varie manovre. Ma che adesso è alla mercé di un qualsiasi aggeggio che si inserisce nei telefonini e rende noto agli inquirenti ed al grande pubblico ogni minimo particolare della vita e delle attività non solo di chi è sottoposto ad una qualsiasi indagine, ma anche di chi lo frequenta a qualsiasi titolo.

C’è, dunque, grande ipocrisia nella campagna all’insegna di una presunta questione morale che si sta sviluppando attorno al caso Palamara ed alle nomine del Csm. I componenti del massimo organo di autogestione della magistratura si comportano abitualmente come i cardinali in Conclave. Ma non godono della stessa impunità e, anzi, sono facile bersaglio di chi, all’interno della categoria, pensa che il modo migliore per far saltare gli accordi delle manovre riservate sia il ricorso a quella gogna mediatica che tanto bene funziona sul mondo della politica o dell’economia.

Accanto a questa ipocrisia, però, c’è il sistema correntizio della magistratura che va messo sul banco degli imputati. Perché non funziona, perché alimenta verminai e perché distrugge l’immagine di chi deve amministrare la giustizia.

È arrivato il momento di eliminare il sistema bacato!