Come ha dimostrato l’assemblea dei militanti del Movimento Cinque Stelle di Napoli e della Campania, la base grillina non ha alcuna intenzione di diventare una costola minoritaria e subalterna del Partito Democratico. A pensarla in maniera opposta sono molti dei parlamentari nazionali e regionali preoccupati di conservare le proprie poltrone e convinti che solo l’alleanza con la sinistra potrebbe consentire loro di evitare il ritorno alla vita civile. Ma quelli che non stanno nelle istituzioni e non hanno posti da conservare reagiscono a questa difesa degli interessi personali con la difesa della propria identità politica. E di questa spinta proveniente dalla base che si deve tenere conto nel valutare l’intransigenza del ministro della Giustizia Bonafede sulla prescrizione e nell’avanzare previsioni su quale potrà essere l’esito degli stati generali in cui il Movimento Cinque Stelle sceglierà il suo nuovo vertice e fisserà la linea da tenere nelle amministrative di fine primavera e nel corso dell’attuale legislatura.
Dall’assemblea grillina napoletana, dunque, è partito un segnale destinato ad incidere pesantemente nel dibattito interno del Movimento ed a condizionare in maniera direttamente proporzionale la vita del governo di Giuseppe Conte. Questo segnale indica che la base non intende accettare compromessi di sorta su una questione identitaria come quella del blocco della prescrizione. E, soprattutto, lascia intendere che nella discussione interna la voce della base, che si batte per la difesa della identità antisistema del movimento, non potrà essere cancellata da quella di chi calcola che la propria sopravvivenza politica personale dipende dall’alleanza subalterna al Partito Democratico.
Il silenzio di Luigi Di Maio, l’annuncio di un prossimo ritorno di Alessandro Di Battista, le ferme prese di posizione del reggente Vito Crimi e la difesa ad oltranza della propria riforma da parte di Bonafede, si muovono tutte nella stessa direzione. Quella di un Movimento Cinque Stelle deciso a salvare la propria identità anche a costo di perdere una buona parte di poltrone. Il ché non è un bel segnale per Giuseppe Conte. Che ora deve sbrogliare il vero nodo emerso dal voto delle regionali in Emilia-Romagna e della Calabria. Non la tenuta del Pd ma la frantumazione del M5S, partito cardine della maggioranza governativa!