L'Opinione delle Libertà | Arturo Diaconale - Part 8


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Redazione13 Novembre 2019

Insieme con l’acqua alta a Venezia cresce nella maggioranza di governo l’idea di andare al voto anticipato subito dopo la manovra per ridurre i danni prodotti da uno sfaldamento dell’esecutivo che ha assunto un andamento incredibilmente veloce.

A coltivare l’idea del voto anticipato c’è una parte consistente del Pd che teme di non reggere a lungo la concorrenza di Italia Viva e crede che andare avanti continuando a far assumere al partito il ruolo di principale puntello del governo Conte possa avere un prezzo insostenibile da pagare al momento della verifica elettorale. Nicola Zingaretti, che già in agosto non aveva nascosto la sua propensione ad andare al voto invece che allearsi con i cinque stelle, si va sempre più convincendo che per bloccare il logoramento in atto per il Pd e liquidare una volta per tutte il concorrente Matteo Renzi non ci sia altra strada che si debba votare al più presto. Ed una parte crescente del partito sembra essere d’accordo che sia meglio perdere andando ad elezioni rapidamente piuttosto che straperdere rinviando di un altro anno le esequie di un governo di fatto già fallito.

Fino a ieri l’idea delle elezioni anticipate non aveva grandi sostenitori nel resto della maggioranza. Tutti temevano che il voto avrebbe duramente penalizzato i partiti della coalizione ed avevano trasformato questo terrore nel mastice destinato a tenere in piedi il Conte-bis. La vicenda dell’ex Ilva, però, dimostrando che non basta il mastice del timore per tenere in piedi un esecutivo composto da partiti in totale disaccordo tra di loro, ha incominciato a creare un clima diverso. La convinzione che si va determinando è quella della esigenza della cosiddetta riduzione del danno attraverso l’interruzione della fallimentare esperienza del governo giallorosso . A spingere in questa direzione non c’è solo la convinzione dell’ala più radicale del Movimento che andando alle elezioni sbandierando le proprie istanze identitarie sia possibile bloccare un declino altrimenti inarrestabile. Ma anche un calcolo niente affatto peregrino sulla circostanza che votando nei primi mesi del prossimo anno non ci sarebbe tempo di cambiare i collegi adeguandoli alla riduzione dei parlamentari e di varare una nuova legge elettorale. Si voterebbe, dunque, per dare vita ad Assemblee legislative composte dall’attuale numero di deputati e senatori. E la circostanza diventerebbe lo strumento principale per ridurre il danno a carico del M5S derivante dal voto anticipato.

La faccenda è sicuramente paradossale. Ma per i grillini è meglio un paradosso che un fallimento completo!

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Redazione12 Novembre 2019

Il Movimento Cinque Stelle è un partito che alle ultime elezioni ha conquistato il trentadue per cento dei consensi e che rappresenta la forza di maggioranza relativa del paese. Se oggi si dilania sull’alternativa se presentarsi o meno alle elezioni regionali in Emilia Romagna vuol dire che è in preda non solo a decrescita infelice ma ad una caduta verticale che non ha precedenti nel nostro paese.

Chi ha paragonato il movimento grillino a quello qualunquista di Guglielmo Giannini ha rilevato come la crisi dei qualunquisti sia giunta all’apice in occasione del loro avvicinamento al Pci così come quella del M5S sia esplosa al momento della collaborazione di governo dei seguaci di Grillo con il Partito Democratico. Ma nella parabola del movimento di Guglielmo Giannini non c’è mai stata la presenza al governo. Ed il suo declino non è mai dipeso dalla delusione provocata sul proprio elettorato per una qualche responsabilità nella gestione del paese.

La caduta grillina, invece, dipende direttamente dalle esperienze di governo non solo nazionale ma anche locale del movimento. Giunti nelle stanze del potere locale (Roma, Torino, Livorno e varie) ed in quelle dell’esecutivo nazionale sulla spinta di un consenso prorompente, i dirigenti del movimento non sono stati in grado di essere all’altezza delle aspettative che avevano suscitato. A Roma non si è verificato il fallimento di Virginia Raggi ma dell’intero gruppo dirigente grillino locale e nazionale, risultato totalmente incapace di assicurare alla sindaca il supporto indispensabile di competenze e capacità per affrontare i problemi complessi di una grande metropoli. Lo stesso è avvenuto a Torino, a Livorno e, soprattutto, al governo del paese dove l’unica forma di capacità espressa dal gruppo dirigente nazionale è stata quella di nascondere le proprie carenze e contraddizioni dietro una cortina di comunicazioni tanto roboanti (“abbiamo vinto la povertà”) quanto ridicole.

La caduta verticale del M5S, dunque, è dipesa dalla sua incapacità di governo. Che lo porta oggi ad interrogarsi se presentarsi o meno alle regionali. Ma che dovrebbe far interrogare i suoi alleati del momento (quelli dell’anno passato si sono sganciati in tempo) se non sia il caso di sciogliersi dall’abbraccio con il cadavere!

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Redazione11 Novembre 2019

C’è la banalità del male, che va condannata sempre e comunque senza dubbi e riserve di sorta. Ma c’è anche l’imbecillità del bene, che va denunciato senza debolezze e ritrosie di sorta perché è proprio questa forma di imbecillità compiuta in nome del bene che rievoca, diffonde ed alimenta la criminale banalità del male.

Nella banalità e nella criminalità del male rientrano li minacce e gli insulti che i vigliacchi della rete inviano a Liliana Segre. Ma nella imbecillità del bene rientra anche l’assurdo tentativo della sinistra di sostenere che i vigliacchi sono rappresentativi non delle proprie personali paranoie ma dell’intero centro destra italiano bollato, conseguentemente, come razzista ed antisemita in blocco.

Quanti sono gli odiatori antisemiti e razzisti che si nascondono dietro la rete per compiere le loro aggressioni verbali? E quanti sono gli esponenti ed i militanti delle frange di estrema destra che si fanno portatori dell’antisemitismo e del razzismo?

La risposta è che gli odiatori saranno qualche centinaio ed i militanti e gli esponenti dichiaratamente neonazisti poche migliaia. Stabilire che questo pugno di persone esprime i sentimenti profondi di più della metà degli italiani costituisce non solo una offesa alla ragione ed al più elementare buon senso ma un riconoscimento di fatto di valore politico e sociale per una minoranza infima priva di qualsiasi consistenza e ruolo nella società nazionale.

I singoli odiatori sono dei frustrati alla ricerca disperata di una credibilità personale inesistente. Le frange estremiste non hanno altra preoccupazione di conquistare una visibilità che altrimenti non avrebbero mai. L’attenzione ossessiva che viene rivolta nei loro confronti in nome della lotta al male soddisfa le smanie di protagonismo dei paranoici individuali ed assicura il massimo di notorietà per i gruppuscoli politici condannati normalmente alla marginalità ed alla semiclandestinità.

Ma a produrre risultati del genere è solo l’imbecillità del male o il riflesso pavloviano dello schema sempre usato dalla sinistra di costruire artificiosamente un nemico da demonizzare per poter continuare a giustificare la propria esistenza?

Entrambe le ipotesi sono fondate. L’imbecillità va a braccetto con la strumentalizzazione!

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Redazione8 Novembre 2019

Lo scenario possibile dell’evoluzione politica del caso ex Ilva è quello verificatosi con la Tav. In Parlamento il Movimento Cinque Stelle vota contro il decreto che reintroduce lo scudo penale per i dirigenti ed i quadri della acciaieria di Taranto e di tutte le aziende in cui si deve realizzare un piano di risanamento ambientale. E per impedire la decadenza del decreto che porterebbe alla chiusura dell’azienda ed al disastro sociale per il Mezzogiorno d’Italia, il centro destra riempie il vuoto lasciato dai grillini e provoca, di fatto, il cambio della maggioranza politica su cui regge il Conte bis.

Se questo evento si dovesse verificare è facile prevedere che il Presidente del Consiglio reagirebbe come già fatto in occasione della conclusione parlamentare della vicenda Tav. Cioè negando il valore politico del voto e separando la sorte del governo da quella della sua maggioranza. Ma è altrettanto facile prevedere che le possibili argomentazioni del Premier, pur andando incontro alla paura della stragrande maggioranza dei parlamentari di finire in una crisi destinata a sfociare in un voto anticipato di tre anni sulla scadenza naturale, non sarebbero in grado di nascondere il senso politico più evidente della questione. Non solo il cambio di maggioranza sull’ex Ilva ma soprattutto la considerazione, quella che Matteo Salvini ha dato alla sua decisione di aprire la crisi in agosto, che con il Movimento Cinque Stelle è impossibile governare il paese.

Nel primo anno dell’attuale legislatura a sbattere il muso contro questa verità è stata la Lega. Ora l’amaro destinato tocca alla sinistra nelle sue diverse articolazioni. Al Pd, a Leu e a quella Italia Viva che dopo aver dato il via con il voltafaccia di Matteo Renzi sul M5S, alla realizzazione del secondo esperimento di presenza grillina nel governo, sembra essersi già reso conto che per il paese era meglio avere un aumento articolato dell’Iva piuttosto che un esecutivo condizionato dagli sfasciacarrozze.

La morale, dunque, è che governare con il Movimento guidato da Luigi Di Maio è dannoso per le forze politiche che lo consentono ed è devastante per la società nazionale che subisce le conseguenze di tanta iattura. All’interno del Pd ci sono ancora molte resistenze a prendere atto della verità emergente dai primi due anni della legislatura. Ma, per fortuna, la consapevolezza che il posto più naturale del M5S è quello di stare all’opposizione a coltivare le follie della decrescita felice, incomincia a diffondersi con forza tra gli stessi grillini. E questa circostanza potrebbe portare al paradosso di essere salvati dagli sfasciacarrozze. Con l’apertura della crisi e le elezioni anticipate a febbraio!

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Redazione7 Novembre 2019

La sinistra mediatica ed intellettuale del paese, quella che impazza sui grandi giornali ed in tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche delle principali emittenti del paese, pare afflitta da una grave forma di schizofrenia politica. Da un lato riconosce i difetti e le carenze del governo Conte bis retto sull’alleanza anomala tra Pd e M5S. E rileva che il governo in questione ha una maggioranza in Parlamento che non rispecchia la maggioranza esistente nella società italiana, che ha varato una manovra destinata solo ad aumentare la protesta popolare a causa del suo messaggio “più tasse, più spese”, che è formato da partiti litigiosi, preoccupati solo di distinguersi dagli altri per un bieco interesse elettoralistico e condannati a passare da una sconfitta all’altra. Dall’altro, però, questo profluvio di critiche che diventano fatalmente autocritiche e che presentano la vita pubblica nazionale come una sorta di psicoterapia di gruppo in cui ogni partecipante (rigorosamente di sinistra) ha qualche colpa oscura da confessare e da cui emendarsi, non riesce mai a giungere alla naturale conclusione. Cioè alla ammissione che l’esperimento del Conte-bis è fallito, che l’alleanza su cui poggia è innaturale e che, soprattutto, la sua sopravvivenza costituisce un danno sempre più grave ed irrimediabile per il paese.

La ragione di questa mancata presa d’atto della realtà non è più il timore che ammettere il fallimento significherebbe spianare la strada al centro destra trainato dall’“uomo nero” Matteo Salvini. La mobilitazione emergenziale contro il nuovo fascismo impersonificato dal leader leghista perde progressivamente vigore. L’opinione pubblica appare sempre più consapevole del carattere strumentale ed artificioso di questa operazione propagandistica. E, soprattutto, le aperture al dialogo di personaggi autorevoli come il Cardinal Ruini e Liliana Segre aprono la strada alla consapevolezza che il clima da guerra civile costruito da forze politiche minoritarie per rimanere ancorate alle posizioni di potere deve lasciare il posto ad una normale dialettica democratica tra forze politiche provviste della comune legittimazione costituzionale.

La mancata presa d’atto della realtà dipende dal rifiuto di ammettere l’esaurimento ormai definitivo della spinta propulsiva della propria storia. E non è un caso che i più restii ad accettare il fallimento siano i santoni mediatici ed intellettuali della sinistra. Che potrebbero mai fare senza quella rendita egemonica che assicura posti, prebende, visibilità senza bisogno di grandi meriti e di serie competenze?

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Redazione6 Novembre 2019

Sono in tanti a dover comparire sul banco degli imputati nella vicenda ex Ilva. A partire dal gruppetto di parlamentari del M5S che dietro la minaccia alla stabilità dell’attuale governo hanno ottenuto la cancellazione della norma sulla cosiddetta immunità giudiziaria per gli amministratori dell’acciaieria, norma che insieme alla intransigenza dei magistrati di Taranto ha portato al rischio di chiusura dell’azienda siderurgica. Ma chiedere metaforicamente la testa di qualche demente e di chi si è piegato alle loro forsennatezze in nome della sopravvivenza del Conte-bis, servirebbe solo ad alimentare quella cultura giustizialista che crede di risolvere i problemi politici e sociali nelle aule dei tribunali con gli effetti ormai sempre più clamorosi e devastanti.

Più serio, invece, è individuare la causa primigenia del disastro in atto a Taranto. E stabilire non solo le responsabilità politiche e personali passate e presenti ma anche e soprattutto come questa causa primigenia possa essere affrontata e, possibilmente, risolta.

La causa in questione è la mancanza di una qualche politica industriale del paese, che risale alla fase delle privatizzazioni degli anni novanta, su cui si è innestata nei tempi più recenti la scelta di puntare sull’assistenza invece che sulla produzione, sul lavoro e sull’occupazione.

Indietro, ovviamente, non si può tornare. Anche se per mettere una toppa alla vicenda ex Ilva non manca chi propone di tornare alla nazionalizzazione dell’acciaio. Come se dopo aver dilapidato le grandi competenze accumulate nei cinquant’anni del secondo dopoguerra lo Stato fosse in grado di improvvisarsi imprenditore siderurgico in grado di competere con i giganti mondiali. Bisogna, invece, andare avanti. E per farlo non c’è altra strada che quella di invertire la rotta seguita fino ad ora decidendo di rinunciare all’assistenza degli ottanta euro, del reddito di cittadinanza, della quota cento e puntando a finalizzare tutte le risorse esistenti sulla produzione, sullo sviluppo, sul lavoro e sull’occupazione.

Vasto programma, come quello della lotta ai cretini? Niente affatto. Programma fin troppo realizzabile. A condizione che vengano messi nella condizione di non nuocere quelli che attraverso l’assistenza sono convinti di vincere le elezioni e di realizzare la decrescita felice. In fondo, se ci si pensa bene, è sempre lotta ai cretini !

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Redazione5 Novembre 2019

Anche il governo giallo-verde di M5S e Lega doveva essere l’ultimo (oltre che il primo) della legislatura. Sappiamo, però, come è andata. La caduta del primo governo Conte non ha portato alle elezioni anticipate ma, sulla base delle regole della democrazia parlamentare che consentono di formare ogni genere di governo purché provvisto di maggioranza in Parlamento, ha prodotto la nascita del secondo governo Conte con il Pd e Leu al posto della Lega.

Dario Franceschi, il principale artefice del governo giallo-rosso proprio sulla base del principio che se c’è maggioranza c’è automaticamente il governo, sostiene ora ciò che sosteneva a suo tempo Matteo Salvini. Che se cade il governo bisogna andare ad elezioni senza esitazioni di sorta. E non tiene in alcun conto dell’argomentazione sui governi che si formano in parlamento con cui aveva promosso la realizzazione del Conte-bis.

Il curioso caso di Franceschini che smentisce se stesso dimostra che in caso di crisi di governo non esiste alcun obbligo di andare immediatamente al voto anticipato. Può essere che in sintonia con il Ministro della Cultura anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sia convinto della ineluttabilità dello scioglimento delle Camere in caso di caduta dell’esecutivo attuale. Ma se in caso di crisi si determinassero in Parlamento numeri e volontà per dare vita ad un nuovo governo, al Capo dello Stato non rimarrebbe altro che piegare il capo e prendere atto della sovranità parlamentare.

Al momento, naturalmente, l’unica possibilità concreta di arrivare al terzo governo della legislatura è quella prospettata da Matteo Renzi, cioè la formazione di un governo giallo-rosso senza Giuseppe Conte. Oggi M5S e Pd difendono a spada tratta il Presidente del Consiglio. Ma se per caso il prossimo voto in Emilia-Romagna dovesse concludersi con una nuova disfatta per i due partiti, è ipotizzabile che Di Maio e Zingaretti possano cambiare idea di fronte alla prospettiva di andare ad un voto nazionale distruttivo.

Esiste, infine, una ipotesi al momento irrealistica ma che, comunque, non può essere scartata del tutto. E se in nome del proprio anti-grillismo e della necessità di salvare il paese dal caos di Grillo, una Italia Viva progressivamente rinforzata in Parlamento da trasfughi provenienti dal Pd e dal M5S, proponesse al centro destra di formare un governo di salvezza nazionale fino alla elezione di un nuovo Presidente della Repubblica scelto dalla nuova maggioranza?

Follia? Può essere. Ma come escludere che un alchimista parlamentare come Franceschini non la tema?

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Redazione4 Novembre 2019

Sarà interessante vedere come la commissione istituita per analizzare e combattere i fenomeni di razzismo, antisemitismo, intolleranza, islamofobia, omofobia e quant’altro giudicherà la ricorrente contestazione della “Brigata Ebraica” ad opera dei gruppi dell’ultrasinistra durante le celebrazioni del 25 aprile. Le considererà una forma di antisemitismo da condannare senza dubbi e limitazione di sorta o le derubricherà a normali proteste di natura politica rivolte al popolo israeliano che dopo essere sopravvissuto allo sterminio nazista ha preteso di costruire e difendere la propria patria in Medio Oriente?

La vicenda del voto sulla commissione proposta da Liliana Segre su cui i senatori del centro destra si sono astenuti (non per odio antiebraico ma per non avallare la paccottiglia di indicazioni politicamente corrette nascoste dalla sinistra sotto il velo della sacrosanta e perenne condanna dell’Olocausto), pone il problema del doppio antisemitismo esistente non solo in Italia ma nell’intera Europa. C’è quello di ispirazione nazista portato avanti in tutti i paesi del Vecchio Continente da frange ristrette dell’estrema destra. Ma c’è anche e soprattutto quello di quella larga parte della sinistra e del mondo cattolico progressista che nasconde il proprio antisemitismo dietro la battaglia tutta ideologica contro l’Occidente capitalista che attraverso Israele, considerato non uno stato con diritto di vivere ma una “entità sionista” destinata ad essere eliminata,  viene accusato di avere colonizzato una parte della Palestina espellendone e perseguitando i suoi abitanti non ebrei.

L’antisemitismo dei primi, che si manifesta nei confronti degli ebrei morti e di quelli vivi che rimangono in Europa, è abietto ed inaccettabile. Ma quello dei secondi è forse addirittura più orrendo di quello di ispirazione neo-nazista. Perché si nasconde dietro la condanna formale dei campi di sterminio per perseguire l’obbiettivo di eliminare gli ebrei vivi israeliani e di cancellare dalla carta geografica del Medio Oriente l’ “entità sionista” considerata al servizio del capitalismo occidentale colpevole di imperialismo, colonialismo e liberismo selvaggio.

Essere liberali significa avere ben chiaro che entrambe le forme di moderno antisemitismo vanno condannate con eguale determinazione. Chi condanna la prima ed assolve la seconda non ha nulla di liberale ma è solo un post-marxista ed un neo-catto-comunista carico di intolleranza politicamente corretta. Chi si definisce liberale e protesta contro l’astensione del centro destra è solo affetto da tardiva sindrome di Stoccolma nei confronti della decadente egemonia culturale della sinistra.

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Redazione31 Ottobre 2019

Non si debbono vergognare i 98 senatori del centro destra che si sono astenuti sull’istituzione di una commissione straordinaria per il contrasto “al fenomeno dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza” proposta da Liliana Segre. Si debbono invece vergognare quei senatori che si sono nascosti e si nascondono dietro Liliana Segre, la sua storia che simbolizza la tragedia dell’Olocausto e la sua sofferenza per gli antisemiti imbecilli che l’aggrediscono sul web, per portare avanti un progetto di repressione politicamente corretta nei confronti di chi sostiene opinioni politiche divergenti dalle proprie.

Il diritto ad esprimere liberamente le proprie opinioni, purché non siano lesive dei diritti altrui, non è solo sancito dalla Costituzione ma rappresenta il fondamento stesso della democrazia liberale. Se la libertà d’opinione viene compressa, condizionata, limitata è la democrazia liberale che viene compressa, condizionata, limitata in favore di una democrazia illiberale che diventa assolutista e totalitaria in quanto fondata sul primato del pensiero unico imposto dall’egemonia del politicamente corretto.

In Senato, dunque, non si è votato in favore o contro Liliana Segre o per pronunciare una condanna dell’antisemitismo che ogni liberale autentico considera obbligata ed inderogabile. Si è votato per istituire una commissione che dovrà studiare il modo di contrastare “ il nazionalismo” ed i fenomeni di “intolleranza ed odio sulla base di etnia, religione, provenienza, orientamento sessuale, identità di genere o altre particolari condizioni psichiche o fisiche”.

Si scrive Segre, allora, ma si legge Boldini e si cerca di dare una veste istituzionale alla intolleranza nei confronti di ogni critica divergente rispetto al pensiero unico fondato sul principio antidemocratico che le minoranze attive debbono sempre e comunque prevaricare la maggioranze passive e silenziose.

La commissione non nasce per combattere razzismo ed antisemitismo su cui tutti sono d’accordo ma per un preciso fine politico che è quello di criminalizzare le opinioni della parte politica non disposta a subire passivamente le prevaricazioni dell’egemonia politicamente corretta. D’ora in avanti dire “prima gli italiani” sarà bollato come forma di razzismo, proclamarsi amanti della propria identità nazionale una forma di intolleranza inaccettabile, difendere le differenze di genere contro il predominio della confusione sessuale una forma di odio, rivendicare il diritto alle opinioni divergenti su accoglienza, sicurezza, terrorismo islamista una gravissima lesione del conformismo imperante.

Chi ha protestato contro l’astensione dei senatori del centro destra non dia lezioni di liberalismo. Essere liberali significa sempre e comunque difendere la libertà d’opinione. Soprattutto se è divergente e politicamente scorretta!

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Redazione30 Ottobre 2019

I parlamentari del Movimento Cinque Stelle non sono i passeggeri di prima classe del Titanic che ballavano in attesa dell’affondamento del transatlantico. Appaiono, al contrario, come i naufraghi che si agitano sul loro barcone malmesso in preda al terrore di finire presto in mare e morire affogati.

I risultati elettorali dicono che quando ci saranno le nuove elezioni politiche solo un numero ristrettissimo di loro sarà in grado di tornare alla Camera ed al Senato. La stragrande maggioranza rimarrà fuori e non potrà neppure sperare di consolarsi, come normalmente capita con le altre forze politiche, presentando le proprie candidature alle regionali ed alle comunali dove i posti sono addirittura inferiori a quelli parlamentari. Questo destino amaro e disperato che aleggia sui deputati ed i senatori grillini giustifica in pieno lo stato di confusione ed agitazione che domina i gruppi ed impedisce loro di trovare non solo intese sui presidenti ma soprattutto sulla strategia da seguire per salvare il salvabile di un movimento in decrescita infelice e rovinosa.

Sul piano umano i sentimenti che dominano i gruppi parlamentari del M5S sono comprensibili. Al loro interno solo pochi hanno un lavoro certo e stabile a cui tornare dopo l’esperienza in Parlamento che ha assicurato grande benessere economico. In tanti, viceversa, erano dei precari che hanno trovato una inasperata occupazione e che sono destinati a tornare alla precarietà. Ma sul piano politico la comprensione umana non conta e non può contare. Esiste una sola possibilità che un partito in via di evaporazione possa bloccare e ribaltare una linea di tendenza così marcata? Il vertice del movimento, con la sola eccezione di Luigi Di Maio e dei suoi più stretti amici, è convinto che la decadenza sia irreversibile e che l’unico modo di ridurre il danno sia di confondersi con la sinistra tradizionale non rinunciando ad innervarla con qualche proprio tema identitario. I grillini peones sono invece attratti dal ritorno alle origini che può riaccendere il fervore dei militanti di base e che prevede un arroccamento contrario ogni forma di commistione ed alleanza con la sinistra e le altre forze politiche.

È difficile prevedere quale di queste due linee potrà prevalere. Qualunque possa essere, però, non potrà rigonfiare la bolla sgonfiata del Movimento Cinque Stelle. Il ciclo è finito.