L'Opinione delle Libertà | Arturo Diaconale - Part 14


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Redazione6 Agosto 2019

Il paradosso è che Silvio Berlusconi, dopo essere stato vittima nel corso della sua lunga storia politica di operazioni di palazzo (da Clemente Mastella a Gianfranco Fini, da Angelino Alfano a Denis Verdini), abbia deciso di compiere un’operazione di palazzo che appare destinata a danneggiare se stesso.

L’Altra Italia è un disegno che si realizza solo tra gli intimi, i fedelissimi del Cavaliere ed i rappresentanti dei tanti cespugli che gravitano nella cosiddetta area centrista. La caratteristica principale di tutti costoro è che operano esclusivamente all’interno del vecchio mondo di vertice del movimento berlusconiano e non hanno alcun seguito popolare. Né più, né meno di come a loro tempo Alfano e Verdini (Fini lo avrebbe avuto se non si fosse suicidato politicamente). Nei prossimi appuntamenti elettorali, quindi, il compito di rastrellare consensi spetterebbe sempre e comunque al Cavaliere, che ha sicuramente sette vite ma che, come tutti i vecchi leoni, è un simbolo del passato e non può tenere il passo con quelli più giovani.

Nel frattempo che succede tra quegli esponenti di Forza Italia che hanno conquistato voti nei propri territori alle amministrative e si ritrovano strettamente alleati con la Lega e Fratelli d’Italia nelle regioni e nei comuni avendo un vertice nazionale che, volendo diventare il centro, prende sempre più le distanze dalle forze che occupano la destra?

La risposta è più che semplice. La stragrande maggioranza di questo personale politico di Forza Italia sarà costretto a compiere una scelta. Tra la prosecuzione dell’alleanza del centrodestra con cui hanno raccolto i propri voti e conquistato le proprie posizioni nelle amministrazioni e la prospettiva di una avventura in cui non c’è garanzia per nessuno.

È difficile immaginare che saranno in tanti a scegliere l’incerto rispetto al certo ed è facile prevedere che l’esodo verso la Lega, Fratelli d’Italia ed eventualmente una nuova forza decisamente collocata nel centrodestra sarà massiccio. All’insegna, se non della conversione al sovranismo, al principio del primum vivere. Che in politica è sempre determinante.

E l’Altra Italia? Da operazione di Palazzo si esaurirà nel Palazzo. Diventando un raro esempio di masochismo di un leader!

 

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Redazione5 Agosto 2019

Si accettano scommesse sulla tenuta del Governo in occasione del voto del Senato sul Decreto sicurezza bis. Il rischio di defezioni da parte dei dissidenti del Movimento Cinque Stelle è inesistente. Se mai si profilasse l’eventualità di una carenza di voti per l’Esecutivo, ci sarebbero sempre alcuni “responsabili” nascosti tra i partiti d’opposizione. Magari attraverso una assenza strategica dall’aula per far scendere il quorum e mettere in sicurezza la compagine governativa.

Insomma, tutto lascia prevedere che il gioco delle polemiche reciproche tra Lega e Cinque Stelle con annesse minacce di crisi destinate sempre a dissolversi, si ripeterà da metà settembre in poi. Ed andrà avanti non solo fino a quando Matteo Salvini continuerà ad incassare consensi tenendo in piedi un governo in cui svolge il ruolo di vero oppositore, ma anche fino a quando i grillini non si renderanno conto che in questo modo si stanno scavando la fossa e la crisi delle opposizioni, Forza Italia e Partito Democratico, non avrà trovato una qualche risoluzione.

Quest’ultimo aspetto sembra marginale per la sorte del Governo ma, in realtà, è tra quelli decisivi. La crisi del Pd, lacerato dal conflitto tra l’area zingarettiana e quella renziana, e quella di Forza Italia, sconquassata dalle lotte intestine di un gruppo dirigente allo sbando, costituiscono la garanzia che le elezioni anticipate non si terranno a tempi brevi. Nessun parlamentare di questi due partiti vuole tagliare il ramo su cui siede prima di avere una qualche certezza sul proprio futuro. E questo consente a Salvini di allungare a piacimento i tempi di una crisi che potrà aprirsi solo nel momento di massima convenienza per il leader leghista.

Più che guardare alle esibizioni danzanti del ministro dell’Interno e fare del moralismo d’accatto ricordando che Aldo Moro andava in spiaggia in doppiopetto e cravatta, bisogna prestare la massima attenzione all’evoluzione delle crisi interne del Pd e di Forza Italia. Da questa evoluzione si saprà se il Paese potrà contare in futuro su una opposizione seria ed autorevole o se è invece condannato a tenersi sul groppone il regime giallo-verde degli inadeguati.

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Redazione2 Agosto 2019

Il Ridotto della Valtellina, come la storia insegna, non divenne mai realtà. Nel momento finale ognuno dei fascisti che aveva seguito Benito Mussolini nella Repubblica Sociale cercò di salvare la pelle all’insegna del “si salvi chi può”. Ci sono analogie con l’implosione di Forza Italia? Manca il sangue dei vinti ma c’è il “si salvi chi può”. Con una differenza di fondo. Mussolini finì a Piazzale Loreto. Silvio Berlusconi è a Strasburgo e, seppure gravato dall’età e dagli acciacchi fisici, conta di operare come quando era il leader incontrastato del centro destra e di un partito che un tempo rappresentava l’asse portante della coalizione.

Un uomo della sua potenza economica, dei suoi rapporti internazionale e della sua indomita energia non può essere sottovalutato. Può ancora dire la sua nella politica nazionale ed europea. Ma è condannato dalla naturale tendenza a perpetuare sempre e comunque il modello del leader incontrastato che non accetta di dividere il potere assoluto con nessuno, a cercare di incidere nella vita pubblica in piena e perfetta solitudine.

Naturalmente non si tratta di una solitudine fisica. A suo fianco ci saranno sempre i devoti, i fedelissimi che gli debbono tutto e quelli che hanno la vocazione naturale a vestire i panni indossati da Ugo Tognazzi nel film “ Il federale” di Luciano Salce. Ma questo contorno sarà politicamente nullo. Perché il solo ad avere la forza di parlare appellandosi al vecchio carisma sarà lui.

Il fenomeno rappresentato da un personaggio che fa politica da solo e senza un partito alle spalle andrà sicuramente studiato dai futuri storici. Ma, al momento, se da un lato non si può non rimanere colpiti della sua determinazione, dall’altro non si può non rilevare come il fondatore di Forza Italia sia diventato il liquidatore della propria creatura politica.

È prevedibile che il “si salvi chi può” porti alla scissione di Giovanni Toti, alla presa di distanze di Mara Carfagna ed agli esodi personali di parlamentari ed amministratori forzisti verso la Lega, Fratelli d’Italia e magari, per qualcuno anche il Pd.

Può essere che il Cavaliere si illuda di dire la sua attraverso la federazione “ Altra Italia”. Ma sarà un’altra storia. Il ciclo del partito liberale di massa è finito!

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Redazione1 Agosto 2019

Continuare a governare con il Movimento Cinque Stelle significa procurare danni al Paese ed alla stessa Lega. Matteo Salvini dovrebbe tenere conto di questa considerazione. Perché fino ad ora il “Contratto di governo” si è retto su una sorta di scambio paritario di concessioni tra i due alleati. I pentastellati hanno avallato il provvedimento sulle pensioni che era diventato il cavallo di battaglia elettorale dei leghisti. E questi ultimi hanno digerito il “Reddito di cittadinanza” su cui il Movimento 5 Stelle aveva impostato il proprio programma per le elezioni.

I risultati dei due provvedimenti non sono stati brillanti ma, soprattutto, sono risultati sbilanciati. Quota cento ha risolto il problema di una ristretta fascia di cittadini. Il reddito di cittadinanza è apparso come la prosecuzione della linea assistenziale inaugurata da Matteo Renzi con gli 80 euro, ha riguardato meno della metà di quanti programmati ma ha introdotto, con i navigator, la figura dei “clientes” di partito ad esclusivo vantaggio del Movimento Cinque Stelle come è chiaramente emerso con il recente incontro tenuto da Luigi Di Maio con i prescelti. Con l’economia stagnante, a che servono i navigator impossibilitati a distribuire posti di lavoro inesistenti se non a fornire una milizia a carico dello Stato del gruppo dirigente pentastellato?

Per il futuro la posizione dei grillini è fin troppo chiara. In cambio di una autonomia rivisitata e corretta pretenderanno il salario minimo garantito nella loro versione massimamente demagogica. In cambio della Gronda di Genova, il taglio senza copertura del cuneo fiscale. In cambio della ridicola riforma della giustizia firmata da Alfonso Bonafede, l’abolizione del Canone Rai e via di seguito. Cioè in cambio di riforme necessarie chiederanno misure ispirate ad esigenze esclusivamente elettoralistiche destinate a provocare danni inestimabili. Il salario minimo garantito versione Di Maio rischia diventare una fabbrica di disoccupati e di lavoro nero. Il taglio del cuneo fiscale, di per sé una misura ottima, diventa un peso insopportabile non solo per le casse dello Stato ma per cittadini che dovranno pagare nuove tasse per sostenerlo se non si trovano le coperture.

Quanto, infine, all’abolizione del Canone Rai, solo degli avventurosi dementi possono immaginare una misura capace di sconvolgere il sistema informativo nazionale provocando un buco al suo centro, con la scomparsa parziale o completa dell’azienda pubblica, destinato ad essere coperto dalle grandi compagnie radiotelevisive straniere.

D’ora in avanti lo scambio tra Lega e M5S diventa totalmente sbilanciato e carico di conseguenze devastanti per la salute del Paese. Il cambiamento, se mai c’è stato, è fallito. E per i leghisti passare da corresponsabili a complici il passo è breve!

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Redazione31 Luglio 2019

Strana storia quella del ragazzo americano accusato di aver ucciso il povero carabiniere Mario Cerciello Rega ripreso con la benda sugli occhi negli uffici dell’Arma. Talmente strana da far sorgere una marea di dubbi e di interrogativi. Innanzitutto: perché bendare il presunto assassino? Per confonderlo, per compiere una pressione psicologica, per intimidirlo? In realtà non sembra che il bendaggio faccia parte dei metodi di interrogatorio in uso nel nostro Paese. Tanto più che il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, Giovanni Salvi, ha precisato che l’interrogatorio dei due indagati si è svolto in maniera assolutamente regolare ed alla presenza dei difensori. Inoltre, come può essere saltato in testa ad un qualsiasi carabiniere di scattare una foto dell’indagato bendato: per rivalsa nei confronti del presunto assassino di un proprio collega? O per il vezzo ormai dilagante di immortalare sempre e comunque qualsiasi immagine per poter dire “io c’ero”? E poi, come può essere saltato in testa di diffondere la fotografia senza minimamente prevedere le conseguenze del proprio comportamento?

La spiegazione più probabile è che la causa sia un misto tra dabbenaggine ed esibizionismo da social. Ma come escludere una ragione diversa, più sottile, diretta a creare un caso mediatico dai risvolti clamorosi ed imprevedibili?

Sicuramente non ci sono complotti da smascherare. Anche perché non si capisce quale obiettivo avrebbero perseguito. Ma un minimo di indagine sarebbe auspicabile. Anche perché quella stupida fotografia è diventata una macchia oscura sull’immagine del Paese. Che viene dipinto come un Venezuela mediterraneo dove non esiste alcuna forma di tutela per gli indagati. Rispondere a questa ondata di dileggio, che non è solo esterno ma anche di produzione interna per precisi interessi politici uniti ad una vocazione masochistica imbecille, non è facile. Ma mai come in questo momento servirebbe un atto di difesa forte, compiuto da un governo autorevole e stabile. Cioè proprio quello che non c’è e non ci potrà essere se non dopo un sempre più urgente ritorno alle urne.

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Redazione30 Luglio 2019

All’interno del Governo italiano qualcuno dovrebbe chiedersi se esista una qualche connessione tra le iniziative militari del generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar contro il governo di Tripoli e la ripresa delle partenze dei barconi dei migranti verso le coste italiane. Nessuno è in grado di stabilire che la connessione esista. Ma basta usare un minimo di logica per rilevare come i barconi dei migranti diventino molto spesso degli strumenti di pressione nei confronti del governo italiano e di quelli europei per indurli, sotto il ricatto dell’invasione dei disperati, a frenare Haftar e continuare ad aiutare Fayez al-Sarraj.

Dare per certa questa eventualità, però, non significa aver trovato un rimedio per sfuggire ai giochi dei signori della guerra libici. Anche perché al momento un rimedio non esiste. Sia a causa delle divisioni sempre più marcate tra i partners europei sulla vicenda libica. Con la Francia che continua imperterrita a sostenere gli avversari del governo di Tripoli, anche se come si è visto con l’attacco all’ospedale italiano, il gioco diventa pesante e tende a danneggiare i nostri medici ed i nostri interessi. Sia perché gli interessi nell’area dei Paesi arabi in conflitto tra di loro sconsiglia tassativamente qualsiasi intervento umanitario che verrebbe visto come la ripresa del colonialismo occidentale sulla “quarta sponda”.

Una soluzione, però, dovrebbe essere comunque trovata. Scaricare al-Sarraj e puntare su Ḥaftar come il nuovo Gheddafi? Oppure infischiarsene dei francesi e sostenere con ogni mezzo Tripoli bloccando ogni velleità egemonica del generale?

L’impressione è che il Governo italiano voglia soltanto vivere alla giornata senza assumere nessuna decisione in merito e, anzi, utilizzando i giochini libici in funzione della politica interna del Paese. Se è così non c’è altro che farsene una ragione. Non ci sarà alcuna soluzione alla questione libica fino a quando Donald Trump e Vladimir Putin non avranno concordato come sbrogliare la matassa. Contare poco e non aver un minimo di coraggio porta a questo!

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Redazione29 Luglio 2019

Si può discutere quanto si vuole se il governo italiano abbia fatto bene a non partecipare al vertice indetto da Macron sul tema dei migranti a cui hanno presenziato solo i rappresentanti degli Stati che non hanno “porti sicuri” nel Mediterraneo. Andare e bocciare il documento finale in cui il presidente francese ha ribadito che spetta all’Italia ed alla Grecia accogliere non avrebbe cambiato molto la sostanza del problema.

I francesi, affiancati da chi non vede barconi dal tempo dei vichinghi, vogliono che i Paesi più esposti del Mare Nostrum non perdano tempo nel fare accoglienza in attesa che scatti una futura intesa tra tutti i componenti della Ue per la ridistribuzione di chi, intanto, va inserito in campi adeguatamente attrezzati. Italia e Malta (la Grecia non ha alcun potere negoziale con Bruxelles) respingono il diktat di Macron e, come sta avvenendo con la nave Gregoretti, chiudono i porti ed impediscono gli sbarchi.

David Sassoli, neo presidente del Parlamento europeo, definisce “assurda” la posizione del nostro governo. Ma di veramente assurdo in questa vicenda c’è solo la pretesa di chi è stato eletto alla massima carica della Camera europea con una maggioranza prona agli interessi dell’asse franco-tedesco e di stare sempre e comunque dalla parte di Macron e della Merkel. Asserviti? Probabilmente, no. Ma convinti che non ci possa essere altra Unione europea oltre quella dominata dall’asse franco-tedesco.

E decisi a battersi anche a dispetto dell’interesse nazionale pur di salvaguardare l’unica Europa che loro concepiscono. Ma non è affatto vero che la sola Ue possibile sia quella del dominio assoluto di francesi e tedeschi. Una Europa del genere non solo è totalmente sbilanciata in favore di un potere che tra l’altro è in fase progressivamente declinante. Ma non rispecchia affatto gli ideali dei fondatori provvisti dell’elementare buon senso di creare una struttura assolutamente equilibrata per non ripetere gli errori degli anni Trenta. David Sassoli, quindi, farebbe bene a fare un ripassino della storia europea. Gli squilibri provocano sempre rotture disastrose!

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Redazione24 Luglio 2019

La notizia riportata dai maggiori giornali in Italia sostiene che nella riunione convocata a Parigi dal presidente francese ed a cui hanno partecipato 14 Paesi della Ue è stato trovato un accordo per creare un meccanismo di solidarietà in grado di redistribuire in Europa i migranti. Nelle pieghe degli articoli dedicati al vertice parigino si scopre, però, che nel corso della riunione il presidente Emmanuel Macron ha ribadito che “quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare accoglienza nel porto più vicino”, cioè in Italia o a Malta. E, con il consenso dei rappresentanti del 14 Paesi europei presenti, ha contestato al governo italiano la chiusura dei porti chiedendone la riapertura ed ha criticato la scelta italiana di non partecipare al vertice parigino.

Ma qual è la notizia più importante e significativa? Quella che Macron ed alcuni Paesi europei sono d’accordo nel procedere alla realizzazione di un piano che preveda la ridistribuzione dei migranti? Oppure quella che, in attesa di questo piano che sarebbe sottoscritto solo dai 14 Paesi del vertice parigino e non da tutti i 28 Paesi della Ue, l’Italia e Malta riaprano i porti e tornino ad essere i centri di accoglienza di tutti i profughi ed i trasmigranti provenienti dall’Africa e dal resto del Sud del mondo?

Se si presenta come notizia principale, quella dell’intesa per un piano di redistribuzione da concretizzare nel futuro, si compie una scelta politica precisa. Ci si schiera dalla parte degli interessi di Macron e di quei 14 Paesi che, guarda caso, a partire dalla Germania fino al Portogallo, Lussemburgo, Finlandia, Lituania, Croazia ed Irlanda, non hanno porti nel Mediterraneo o, come Francia e Croazia, hanno porti ben distanti dalle rotte delle navi che partono dalla Libia.

Una scelta del genere viene compiuta sulla base della convinzione che l’Europa debba essere sempre e comunque a trazione franco-tedesca. Il ché è sicuramente legittimo. Ma comporta come corollario che l’Italia (ed il suo interesse a non tornare ad essere un campo di concentramento per migranti che non si sa come e quando dovrebbero essere ridistribuiti) sia condannata al ruolo di Paese vassallo dell’asse Macron-Merkel dominante.

Come definire questi media che sono fermi ad una concezione carolingia dell’Europa e non capiscono che in questo modo servono solo ad alimentare l’astio per l’Europa squilibrata ed il consenso di Matteo Salvini? La “quinta colonna” macroniana in Italia o il concentrato del masochismo nazionale?

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Redazione23 Luglio 2019

Giuseppe Conte è diventato l’ultima speranza ed il nuovo campione dei perenni golpisti nostrani, quelli che considerano la democrazia parlamentare lo strumento più adatto per infischiarsene della volontà popolare espressa dalle urne ed indirizzare la politica nazionale secondo i propri interessi ed a tutela dei propri privilegi.

Conte viene dipinto da costoro come il nuovo Mario Monti, cioè il tecnico che in caso di crisi di governo dovrebbe succedere a se stesso contando su una nuova maggioranza di unità nazionale formata da Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle e Forza Italia in grado di chiudere nel ghetto dell’estrema destra la Lega e Fratelli d’Italia, portare la legislatura fino alla scadenza naturale e, nel frattempo, eleggere un successore di Sergio Mattarella rigorosamente in linea con il tradizionale establishment italiano, europeo e Vaticano.

Ma i teorici di questa versione montiana dell’attuale Presidente del Consiglio scambiano le loro speranze in realtà e non fanno i conti con alcuni dati di fatto incontrovertibili. I più evidenti sono che Cinque Stelle, Partito Democratico e Forza Italia non sono affatto delle falangi macedoni pronte ad immolarsi in maniera compatta di fronte agli umori prevalenti del corpo elettorale per consentire ai golpisti di continuare all’infinito nei lori giochi antidemocratici. Riportare al governo il Pd, sia pure con la copertura di una presunta unità nazionale, costituirebbe un trauma per gli elettori ed una parte cospicua dei gruppi parlamentari del Movimento grillino. Conte sarebbe in grado di rassicurare costoro o, proprio perché benedetto dal Colle, dal Vaticano e dalla Ue di Angela Merkel ed Emmanuel Macron, diventerebbe il simbolo del tradimento dei valori e degli ideali del giustizialismo grillesco?

È certo, poi, che il Pd seguirebbe compatto l’ispiratore Dario Franceschini ed il suo esecutore Nicola Zingaretti nell’impresa di camuffare Conte da Monti e Mattarella da Napolitano?

La ripresa della guerra in atto all’interno del partito tra i sostenitori dell’attuale segretario e gli amici di Matteo Renzi, che conta sempre su molti sostenitori nei gruppi parlamentari, è significativa. All’appuntamento franceschiniano il Pd arriverà lacerato e molti dei suoi voti non finiranno mai a sostegno del Conte-bis in versione montiana. Lo stesso vale, e forse ancora di più, per Forza Italia. Di fronte all’ennesimo golpe cattocomunista solo qualche disperato potrebbe essere tentato di rompere ogni rapporto con i propri elettori in cambio di una ininfluente poltroncina di sottogoverno.

Conte, infine, sarebbe sul serio disposto a svolgere il ruolo di fantoccio dei poteri declinanti in Italia ed in Europa dopo essere stato quello di Matteo Salvini e Di Luigi Maio?

L’esperienza di Monti, usato e gettato, gli dovrebbe essere da insegnamento!

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Redazione22 Luglio 2019

Il capo della rivoluzione giudiziaria non era un rivoluzionario. Francesco Saverio Borrelli si era ritrovato casualmente in mano lo strumento per determinare una svolta autenticamente rivoluzionaria nella storia del secondo dopoguerra italiano cancellando la Prima Repubblica dei partiti e sostituendola con la repubblica fondata sul regime delle toghe “illuminate” e non elette dal popolo. Ma aveva provocato consapevolmente la distruzione dell’assetto politico fondato sulla democrazia parlamentare senza però avere la capacità di passare dal colpo di stato alla instaurazione del nuovo regime di cui aveva gettato le basi insieme al Pool di “Mani Pulite”.

Oggi la scomparsa di Borrelli diventa l’occasione, secondo la consuetudine corrente, per celebrarne tutte le qualità umane e private del personaggio. Ma volendo dare un giudizio rigorosamente politico e storico dell’operato pubblico dell’artefice principale della cosiddetta rivoluzione giudiziaria, si deve necessariamente concludere che si trattò di un rivoluzionario inconsapevole e fallito. Pronto e tempestivo nel distruggere ma totalmente incapace di costruire.

Naturalmente, dal punto di vista di chi come me ha scritto nel 1995 il primo libro dedicato al cosiddetto golpe giudiziario (“Tecnica post-moderna del colpo di stato: magistrati e giornalisti”), quella incapacità di essere rivoluzionario fino in fondo, è stata salutare. Il Paese ha avuto la fortuna di non finire sotto un regime autoritario formato da magistrati-colonnelli convinti di avere una missione salvifica da portare avanti con la spada della giustizia fiammeggiante, ma del tutto ignari dei problemi e delle necessità reali del Paese. Questo fallimento della rivoluzione non è minimamente dipeso dalla fedeltà ai valori della libertà e della democrazia. Valori che in Borrelli e nei componenti del suo Pool erano del tutto assenti. Ma solo dalla mancanza assoluta di capacità politica. Se fossero stati dei Khomeyni, oggi l’Italia sarebbe retta da un sistema teocratico e totalitario simile a quello komeinista iraniano. Ma Borelli ed i suoi erano e sono rimasti dei magistrati buoni ad esondare nel campo della politica, ma geneticamente impossibilitati a trasformare l’esondazione in un qualche risultato politico stabile.

Questo deficit genetico, va ribadito, è stato salutare. Ma è anche il responsabile del caos istituzionale dei 25 anni successivi alla fine dalla rivoluzione giudiziaria fallita. Il caos di uno stato di diritto che non è più tale per via di un populismo giudiziario nato alla metà degli anni Novanta e che tiene paralizzato il Paese agli equivoci ed alle incapacità di quel tempo. Forse è arrivato il momento non solo di dare pietà ai morti, ma anche di dare speranza ai vivi di un sollecito ritorno allo stato di diritto senza esondazioni di sorta.